Cultura

Usa: il dandismo nero che ha rivoluzionato la moda e la libertà

Redazione
 
Usa: il dandismo nero che ha rivoluzionato la moda e la libertà

Nel cuore della primavera newyorkese, la nuova mostra del Costume Institute al Metropolitan Museum of Art, “Superfine: Tailoring Black Style”, rende omaggio a una forma di espressione sartoriale radicale e raffinata, che affonda le radici nella storia della diaspora africana e che continua a rinnovarsi nei codici contemporanei: il dandismo nero.

Usa: il dandismo nero che ha rivoluzionato la moda e la libertà

Il Met Gala 2025, tradizionale evento di apertura e vetrina planetaria dell’élite culturale e della moda, ne accoglie lo spirito con un tema ad hoc, “Su misura per te”, che invita a riflettere sull’arte del vestire non come semplice estetica, ma come affermazione identitaria, gesto politico, testimonianza di appartenenza e rivendicazione di libertà.

Il dandismo nero, per secoli declinato tra oppressione e stile, tra invisibilità e teatralità, tra desiderio e resistenza, si mostra qui nella sua complessità in una narrazione che intreccia abiti, fotografie, opere d’arte, filmati e memorie.

Nato non da un privilegio ma da una privazione, come sottolinea Monica L. Miller, curatrice ospite della mostra e autrice del fondamentale Slaves to Fashion, il dandismo nero è sorto come risposta alla spoliazione simbolica e materiale imposta dalla schiavitù, come atto di ricostruzione del sé e di contestazione dei paradigmi razziali, sociali e di genere. Dai primi esempi settecenteschi come Julius Soubise, ex schiavo, dandy sfacciato e sovversivo nella corte britannica, fino alla potente presenza urbana dello zoot suit negli anni trenta e alle silhouette esuberanti di André Leon Talley, passando per la fuga camuffata di William ed Ellen Craft e per l’eleganza silenziosa della Silent Protest Parade del 1917, la mostra segue un filo sartoriale che attraversa i secoli per cucire insieme storie di marginalità e magnificenza.

Non è solo una storia di abiti, ma di corpi che vestono la propria dignità, di immaginari che si rifrangono nelle stoffe, di autobiografie scritte con il taglio di una giacca o con il volume esagerato di un pantalone. In questa prospettiva, la moda maschile nera diventa spazio di libertà e di invenzione, come testimonia anche il lavoro di artisti e stilisti contemporanei: dall’estetica cosmopolita e ironica degli autoritratti di Iké Udé, alla sartoria militante di Foday Dumbuya, che cuce nella seta i documenti migratori della propria famiglia, rivendicando l’Africa come fonte non di mancanza ma di stile.

Il dandismo nero, afferma Miller, è un linguaggio in continua mutazione, un jazz visivo che si rigenera nel tempo, attraverso generazioni di uomini che hanno fatto del vestirsi un’arte e un atto di sovversione. Non si tratta dunque solo di un tema espositivo, ma di una lente per rileggere la storia stessa dell’identità nera come performance estetica e resistenza poetica. In questo gesto raffinato, colto e spiazzante, risuona oggi un messaggio di straordinaria attualità: che la libertà passa anche dal modo in cui scegliamo di apparire al mondo, e che un abito, se “su misura per te'', può contenere la memoria, la bellezza e il futuro di un intero popolo.

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