C’è un’altra voce, altrettanto profonda e viscerale, che accompagna da sempre quella – celebre e inconfondibile – di Bob Dylan. È una voce silenziosa, fatta di colori, segni e visioni, che non si ascolta ma si osserva, e che pure vibra dello stesso misterioso magnetismo che ha attraversato i suoi versi e le sue canzoni per oltre mezzo secolo.
Bob Dylan, l’artista dalle mille forme: la sua pittura in mostra a Londra
Perché Dylan, prima ancora che icona della musica, è un narratore, e le sue storie possono nascere da una strofa o da un tratto di carboncino, da una ballata folk come da una tela.
Da tempo ormai, l’anima visiva del premio Nobel per la Letteratura ha iniziato a imporsi all’attenzione del pubblico e della critica. Ma le sue prime incursioni nel mondo della pittura risalgono ai lontani anni di Woodstock, quando, tra un disco e l’altro, frequentava con discrezione l’atelier del pittore Bruce Dorfman, suo vicino di casa, da cui imparò l’uso dei colori a olio.
Dylan arrivava con sottobraccio libri d’arte, cercando di replicare Vermeer, Monet, Van Gogh e Chagall, il cui incanto aveva ammirato dal vivo in una mostra newyorkese del 1968. E ancora, nel 1974, si iscrisse a un corso di pittura tenuto da Norman Raeben, artista e pedagogo visionario che, a suo dire, gli insegnò a coordinare "testa, mente e occhio" e a comprendere che "ieri, oggi e domani stanno tutti nello stesso spazio".
Un’iniziazione che, col tempo, è fiorita in un corpus pittorico vasto e sorprendentemente coerente, oggi al centro di una nuova e attesa esposizione: Point Blank, che aprirà al pubblico domani presso la Halcyon Gallery di Londra.
Si tratta di una raccolta di 97 opere originali – disegni e dipinti – realizzati tra il 2021 e il 2022 e finora mai esposti, che offrono uno spaccato intimo e vibrante dell’universo poetico di Dylan, trasposto in immagini.
In questi lavori l’artista ritrae scorci di vita quotidiana, personaggi colti in momenti sospesi – un sassofonista, un cowboy, coppie, stanze, dettagli di interni – che sembrano emergere da una memoria tanto personale quanto condivisa. I disegni, nati come schizzi, sono stati successivamente rivestiti da colori accesi, impiegati non come ornamento ma come ''strumenti narrativi'', come Dylan stesso ha affermato: ''L’idea non era solo quella di osservare la condizione umana, ma di buttarmici dentro con grande urgenza''.
Ed è proprio questa urgenza che si percepisce, nei toni squillanti, nelle pennellate dense, nelle composizioni che richiamano, per intensità emotiva più che per stile, il periodo blu di Picasso.
Una mostra che è anche un libro, corredato da prose che accompagnano le immagini: un ulteriore tassello nell’opera di un autore che ha sempre rifiutato di confinarsi in una sola forma espressiva.
"Queste opere su carta sono come ricordi - osserva Kate Brown, direttrice creativa della Halcyon -: finestre immateriali sulla vita e l’immaginazione di uno dei più grandi narratori mai esistiti''.
Non è la prima volta che la galleria londinese celebra l’estro pittorico di Dylan: già nel 2007 aveva inaugurato una mostra dedicata alla Drawn Blank Series, raccolta di disegni a grafite eseguiti durante i suoi tour tra il 1989 e il 1992 e poi reinterpretati con l’aggiunta del colore. Queste opere, spesso concepite come "diari visivi" di una vita trascorsa in viaggio, mostrano un mondo visto lateralmente, di scorcio, con uno sguardo che evita il centro, preferendo gli oggetti ai soggetti, i luoghi ai volti. Un approccio che riflette, forse, la postura esistenziale di Dylan: sempre un passo indietro, sempre un po’ fuori scena. Lavori che sembrano recare dentro di essi la malinconia, che resistono alla tentazione dell’autocelebrazione. Dylan non vuole essere un guru o un genio: vuole ricordare a sé e agli altri di essere semplicemente un uomo.
Ed è in questa capacità di trasfigurazione che si riconosce la cifra dell’artista poliedrico: nella sinestesia tra suoni e colori, tra note e pennellate, tra versi e visioni. Come suggerisce Paolo Conte, artista poliedrico che della musica e della pittura ha fatto strumenti complementari d’espressione, ogni tonalità sonora reca in sé una sfumatura cromatica, una tinta propria che la distingue e la carica di emozione. Nella sua personale sinestesia, le note si tingono di colori: il Do ha il candore lattiginoso dell'alba, il Re bemolle è un nero denso e misterioso, il Fa un rosso vivo, impetuoso, quasi incendiario.
In questa chiave, i colori della tavolozza pittorica di Dylan sembrano risuonare come accordi: il suo azzurro, limpido e sconfinato, è un’eco di cielo in maggiore, vibrante di luce e libertà; il suo rosso ha la graffiatura irregolare e struggente di un blues distorto, che pare nascere dalla polvere di un vecchio vinile; il suo verde prato, morbido e antico, evoca il ritmo lento e narrativo delle ballate popolari, quelle che scorrono come fiumi tra le pianure del Midwest. E ancora, il cobalto intenso, il giallo acceso, il lilla evanescente, il blu che avvolge e consola… ogni tinta sulle sue tele è un suono che si fa materia, un’intonazione dell’anima che attraversa pennelli e spartiti. In Dylan, come in Conte, pittura e musica si fondono in un unico gesto espressivo, sinestetico, capace di evocare non solo ciò che si vede o si sente, ma ciò che si percepisce oltre i sensi: l’interiorità irriducibile dell’artista.
La mostra londinese rappresenta quindi un’occasione unica per avvicinarsi a un aspetto meno noto ma straordinariamente autentico del cantautore ottantatreenne, la cui vena creativa sembra non conoscere esaurimento. "Il disegno mi ha sempre aiutato a rilassarmi e a riconcentrare una mente irrequieta", ha confessato. Ma ciò che nasce da una necessità interiore si trasforma, nelle sue mani, in un atto comunicativo potente, diretto, vibrante di umanità.