Le recenti elezioni presidenziali americane hanno avuto un impatto significativo sui mercati finanziari. L'esito decisamente favorevole al Partito Repubblicano ha superato le aspettative iniziali e ha trainato le performance degli indici statunitensi, che da inizio novembre hanno sovraperformato di quasi 10 punti percentuali i listini europei, soprattutto grazie al settore finanziario e alle small cap. Inoltre, il dollaro USA ha registrato un apprezzamento del 4% rispetto ai livelli di inizio settembre, particolarmente forte anche contro l'euro; questa valutazione riflette sia la fiducia degli investitori nella stabilità economica futura degli Stati Uniti, sia il rischio di nuove tariffe minacciate da Trump. Infine, anche il mercato delle criptovalute ha beneficiato di questa fase di entusiasmo, raggiungendo nuovi massimi storici.
I punti più rilevanti dell'agenda Trump riguardano la riduzione delle tasse e il programma di deregolamentazione, che dovrebbero favorire le società ad alta tassazione marginale, tipicamente le piccole e medie capitalizzazioni, e quante beneficiano dalla riduzione delle regolamentazioni, come le società operanti nei settori finanziario, energetico e farmaceutico. Sul fronte della politica fiscale sono invece attesi stimoli sotto forma di riduzioni fiscali e aumenti della spesa pubblica, che potrebbero sostenere la crescita economica nel breve, ma che nel medio/lungo termine porteranno ad un aumento del deficit pubblico e a possibili pressioni inflazionistiche.
Un altro punto attorno al quale Trump ha basato molta della sua retorica elettorale è l’aumento delle tariffe commerciali e dei dazi doganali, in particolare verso la Cina. Queste promesse hanno una duplice chiave di lettura: per quanto riguarda gli Stati Uniti, ci saranno settori penalizzati, in primis chi fa uso di semilavorati, ma anche settori che vedranno nascere nuove opportunità grazie al fenomeno del reshoring industriale, ossia il rientro in USA delle filiere produttive. A livello geografico, invece, i listini caratterizzati da titoli concentrati sulle esportazioni verso gli Stati Uniti potrebbero subire alcune ripercussioni. In questo senso le politiche di “America first” danneggiano le economie aperte come l’Eurozona, soprattutto per quanto riguarda il settore automobilistico. Passando alla politica interna, Trump ha promesso un maggior controllo dei flussi migratori, prevedendo anche la possibilità di rimpatriare milioni di migranti.
Allo stato attuale è difficile stimare l'impatto di queste politiche su crescita e inflazione, ma il consensus vede un peggioramento di entrambe. La politica monetaria della Federal Reserve potrebbe doversi adattare a questo nuovo contesto: se l'inflazione dovesse aumentare più del previsto, la Fed si troverebbe a rivedere la traiettoria dei tassi di interesse. Un primo segnale c’è stato con la risalita dei Treasury a 10 anni, che hanno registrato un rialzo di 80 punti base rispetto ai minimi di settembre. Si apre ora una fase di transizione, che durerà fino all'inaugurazione, durante la quale l'attenzione sarà rivolta alle nomine nel tentativo di capire quale sarà il prossimo policy mix sul fronte fiscale e la conseguente risposta di politica monetaria. Nel complesso, l'esito delle lezioni avvia un periodo in cui i rischi sulla crescita sono al rialzo per il ciclo economico statunitense.
Per concludere, condividiamo la lettura favorevole del mercato sugli attivi azionari, mentre il mondo obbligazionario resta perturbato dai rischi fiscali e dal possibile cambiamento di politica della Fed. In ogni caso, la costruzione di portafogli per investitori in base euro è agevolata dalla crescita anemica, dal ciclo economico e dai rischi inflattivi decisamente più contenuti che garantiscono un diverso atteggiamento della BCE.