Mentre solo nelle prossime ore si conoscerà l'esatta ampiezza del distacco che l'uscente Eugenio Giani, sostenuto dalla sinistra, ha messo tra sé ed Alessandro Tomasi, accanto al quale il centrodestra aveva schierato tutti i boss della coalizione, Giorgia Meloni compresa, sono due i dati che emergono dalle elezioni per il prossimo presidente della Giunta regionale della Toscana.
Regionali in Toscana: Giani verso la conferma
Il primo, atteso sino ad essere scontato, è che la Toscana è e resta (quasi tutta) rossa; la seconda è che la bassissima affluenza, sotto la soglie psicologica del 50%, anche in una regione che storicamente partecipa molto al voto, non può più essere un male con il quale convivere, ma un problema da risolvere in fretta, concretizzando quel processo di allontanamento della politica che ormai da anni aleggia sull'Italia.
Tra Giani e Tommasi, a seconda dei vari instant poll, c'è un'ampia differenza di voti e percentuali, con il Pd che si conferma il traino della coalizione della sinistra alleata, ma non ''federata'' (un'idea che Giuseppe Conte aborre), attestandosi come primo partito dell'intero schieramento, con Avs e Casa Riformista a contendersi la seconda piazza. Anche in Toscana, poi, i Cinque Stelle - dopo che il loro leader solo alla fine ha mostrato un vero appoggio a Giani - proseguono nel lento, ma costante, arretramento rispetto alle precedenti consultazioni elettorale, anche se rispetto ad altri appuntamenti con le urne, il calo potrebbe essere più contenuto, e, quindi, meglio metabolizzabile.
Nel centrodestra, tutto come da copione, con Fratelli d'Italia che tira la volata della coalizione, avendo dietro, di parecchie macchine, Forza Italia.
E La Lega, che tanto puntava sull'effetto Vannacci, la cui truppe cammellate avrebbero dovuto fare sfracelli?
Se effetto c'è stato, non è quello sperato, perché, stante gli instant poll più recenti, la percentuale della Lega dovrebbe essere compresa tra 4,5 e 6,5 per cento e quindi con un apporto marginale del generale.
Questo potrebbe essere anche un buon risultato, ma non certo se si considera che, nella precedente tornata, quando la Lega espresse il candidato del centrodestra (Susanna Ceccardi), il partito portò a casa quasi il 21,8 per cento e la bellezza di otto consiglieri. Che oggi si sogna.
Cercando di ragionare politicamente su queste elezioni, c'è da dire che tutto è andato secondo le previsioni, anche se, sino alla fine, il centrodestra aveva sperato nel colpaccio. Certo, si sarebbero dovuti allineare gli astri in modo diverso, però una speranziella era da coltivare.
Dato per scontato che ciascuna elezione vive di vita propria e, quindi, non può essere un canone da applicare alle altre, il voto ha comunque, contestualmente, ridato vigore al centro-sinistra e posto un problema nel centro-destra che sperava in un ''effetto trascinamento'' dai successi nelle Marche e in Calabria, con l'ambizione di fare il triplete.
Le cose sono andate in modo diverso, ma veramente di tanto, al punto che non può valere la considerazione: partivamo battuti e in ogni caso abbiamo preso una vagonata di voti. E il perché ha una sua spiegazione.
In Toscana, che contende all'Emilia-Romagna il vessillo di regione più rossa, l'uscente Giani non è che fosse favorito per sue qualità, perché non tutti lo hanno apprezzato, così come non tutti ne hanno condiviso le strategia di comunicazione. Però, in ogni caso, come in una gara ad ostacoli, i suoi erano bassini, mentre quelli degli altri altissimi.
Il centro-destra, in buona sostanza, magari i partiti non fossero stati distratti dal parlare di candidature in altre Regioni, ha forse creduto poco nel recupero, affidandosi ad un candidato, Alessandro Tomasi, di bell'aspetto, di solida esperienza amministrativa (è sindaco di Pistoia), di credibilità personale (è ritenuto da tutti il perfetto ''bravo ragazzo'') che, in un altro contesto, avrebbe potuto essere vincente, se solo avesse coagulato convintamente intorno a sé tutti i partiti, oltre al suo, Fratelli d'Italia.
Ma se, oltre a ''combattere'' i partiti avversari, ha dovuto impegnarsi anche sul fronte domestico, con un Vannacci su posizioni sempre più estreme, con cadute anche di volgarità che, ci si scuserà pensando al suo passato da militare, stonerebbero persino in una caserma.
E poi c'è un altro segnale, che forse è stato sottovalutato.
Il Paese comincia a chiedersi se chi governa, chi ''ci'' governa, può sempre evitare il confronto, riducendo al minimo sotto le occasioni in cui premier e ministri rispondono alle domande, anche le più innocenti. Mettere distanza fisica tra l'esecutivo e il resto del mondo è una scelta, dettata sicuramente da circostanze e considerazioni, che parte dal presupposto che tutti capiscano e condividano.
E invece non è così, perché rispondere solo alle domande che fanno piacere è un giochino che può reggere, ma fino ad un certo punto. Annunciare la propria presenza e poi non esserci - come è accaduto ad un recente evento dei giovani di Confindustria - non dà l'idea di essere un ministro super-impegnato, ma di chi non ci sta a dare risposte a interrogativi scomodi.
Anche perché la gente potrebbe interrogarsi sul perché il governo (e non solo questo) si presenta in massa ai confini dell'impero solo quando c'è da votare.