Proseguono al Cairo, per il secondo giorno consecutivo, i colloqui indiretti tra Israele e Hamas volti a porre fine alla guerra a Gaza. Secondo l’emittente egiziana Al Qahera News, vicina all’intelligence del Paese, i negoziati si stanno svolgendo “in un clima positivo”, con la partecipazione di mediatori provenienti da Stati Uniti, Qatar, Egitto e Turchia.
World Media Headlines: Israele-Hamas, secondo giorno di negoziati a due anni dal 7 ottobre
I colloqui - riferisce CNN - dovrebbero durare alcuni giorni e ruotano attorno al piano di cessate il fuoco proposto da Trump, che prevede il rilascio di tutti gli ostaggi da parte di Hamas, la liberazione dei prigionieri palestinesi da parte di Israele e il graduale ritiro delle truppe israeliane all’interno della Striscia secondo linee e tempistiche definite.
Le delegazioni, spiega ancora CNN, stanno discutendo i punti più delicati: la tempistica del ritiro, il trasferimento del governo locale e la creazione di una forza internazionale di stabilizzazione per garantire sicurezza all’enclave devastata. Trump, da parte sua, si è detto ottimista: “Tutti si sono uniti. Penso davvero che raggiungeremo un accordo”, ha dichiarato il presidente americano, sottolineando che Hamas avrebbe già fatto “importanti concessioni”.
Le Nazioni Unite hanno fatto sapere che le proprie squadre di soccorso sono “pronte a partire” qualora il cessate il fuoco venga approvato, mentre anche la Croce Rossa Internazionale si è detta disponibile a fungere da intermediario umanitario per il trasferimento degli ostaggi israeliani e dei detenuti palestinesi. Intanto, nel sud di Israele, dove due anni fa Hamas compì l’attacco del 7 ottobre, si sono svolte cerimonie commemorative. Secondo Reuters e Associated Press, nei luoghi simbolo come il kibbutz di Kfar Aza e la comunità di Reim – sede del festival musicale Nova, in cui furono uccise quasi 400 persone – sono stati eretti cartelli con i nomi e le foto delle vittime, circondati da fiori e piccoli memoriali. Le famiglie hanno annunciato la costruzione di una sukkah, un rifugio temporaneo per le feste ebraiche, come gesto di memoria.
In occasione del secondo anniversario dell’attacco, anche la politica internazionale ha voluto esprimere la propria posizione. In Australia, il primo ministro Anthony Albanese ha lodato la proposta di cessate il fuoco di Trump, definendola “una possibilità da cogliere” per la pace. Parlando in Parlamento, ha ricordato il 7 ottobre 2023 come “un giorno di dolore e terrore per il popolo ebraico”, affermando che “Hamas si oppone a tutta l’umanità e a tutto ciò che apprezziamo come esseri umani”. Ha inoltre ribadito il sostegno a una soluzione a due Stati.
Dall’opposizione, la leader Sussan Ley ha criticato l’amministrazione Albanese per non aver mostrato sufficiente fermezza a favore di Israele e degli Stati Uniti, condannando le manifestazioni pro-Palestina, in particolare quelle alla Sydney Opera House. In Nuova Zelanda, il ministro degli Esteri Winston Peters ha commemorato le vittime chiedendo un cessate il fuoco immediato e il rilascio degli ostaggi, pur condannando “la risposta militare sproporzionata di Israele” che, a suo avviso, ha colpito duramente i civili palestinesi.
Nel Regno Unito, la BBC riferisce che il primo ministro Keir Starmer ha invitato gli studenti britannici a non unirsi alle manifestazioni pro-palestinesi nel giorno dell’anniversario, definendole “non britanniche” e accusando alcuni manifestanti di aver “usato la causa palestinese come scusa spregevole per attaccare gli ebrei britannici”. Sempre la BBC riporta i nuovi dati diffusi dall’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa), che descrivono la devastazione a Gaza: oltre 66.100 morti, di cui almeno 18.430 bambini, un milione di sfollati e più di 370 dipendenti Unrwa uccisi. Circa l’80% delle infrastrutture è stato danneggiato o distrutto, meno del 40% degli ospedali resta operativo e il 90% delle risorse idriche e sanitarie risulta compromesso.
Sul fronte europeo, la politica interna francese attraversa una fase di tensione. Come riporta Le Monde, il presidente del Medef, Patrick Martin, ha espresso “rabbia e preoccupazione” per l’instabilità politica del Paese, sottolineando che la Francia sta iniziando a “disimpegnarsi economicamente” rispetto a vicini come Spagna e Germania. Secondo Martin, l’indecisione politica è costata “almeno 9 miliardi di euro di Pil nel 2024”. Intanto, il leader del Rassemblement National, Jordan Bardella, intervistato da BFM-TV/RMC, si è detto pronto a “tendere la mano” ai Repubblicani per un’alleanza di governo nel caso in cui il suo partito non ottenesse la maggioranza assoluta all’Assemblea Nazionale.
Dalla parte degli ecologisti, Marine Tondelier ha dichiarato a France 2 che “il popolo ha chiesto la coabitazione” e che questa resta “la nostra preferenza”, mentre l’ex premier Édouard Philippe ha ricordato a RTL che spetta al presidente Emmanuel Macron “trovare una soluzione politica”. Dall’altra parte dell’Atlantico, la tensione cresce anche negli Stati Uniti. Secondo CBS, un giudice dell’Illinois ha respinto la richiesta dello Stato e della città di Chicago di bloccare l’invio della Guardia Nazionale ordinato dal governo federale.
Il procuratore generale Kwame Raoul ha definito la decisione “illegale e pericolosa”, affermando che l’impiego di truppe federalizzate “alimenterà disordini e sfiducia nella polizia”. Nella causa intentata contro Washington, Raoul sostiene che “nessun cittadino americano dovrebbe vivere sotto la minaccia di un’occupazione militare interna solo perché la leadership locale è caduta in disgrazia presso un presidente”. In tribunale, i legali del governo non sono stati in grado di indicare in quali città dell’Illinois verranno dispiegate le truppe, mentre nel frattempo, riferisce CBS, alcuni contingenti sarebbero già in arrivo.