Esteri

Caos politico in Francia: le dimissioni di Lecornu gettano il Paese nell'incertezza politica

Diego Minuti
 
Caos politico in Francia: le dimissioni di Lecornu gettano il Paese nell'incertezza politica

Gli è toccato appuntarsi al petto la medaglia di primo ministro meno longevo della storia repubblicana, ma Sébastien Lecornu, dimettendosi appena poche ore dopo avere formato il suo governo, ha dato una lezione alla Francia rissosa, alla quale ha rimandato l'immagine di un fronte parlamentare spaccato in cui, ha detto, ciascun partito ritiene di essere il più importante, allontanando quindi la prospettiva di risolvere la crisi.

Caos politico in Francia: le dimissioni di Lecornu gettano il Paese nell'incertezza politica

L'Eliseo ha dato notizia delle dimissioni di Lecornu - che peraltro erano nell'aria, viste le reazioni dei partiti alla composizione che aveva dato al suo effimero governo - con un comunicato che definire stringato è anche esagerato e nel quale - lo rileviamo ''da italiani'', sempre attenti alla forma - non c'è lo straccio di un ringraziamento per la missione impossibile alla quale era stato chiamato: ''Il signor Sébastien Lecornu ha presentato le dimissioni del suo governo al presidente della repubblica, che ha accettato'', laddove il ''signor'', occorre precisarlo, non è affatto una deminutio del ruolo del primo ministro o un giudizio, ma la forma usuale delle comunicazioni ufficiali in francese.

Alle dimissioni, Lecornu ha fatto seguire una dichiarazione nella quale, oltre a dare una informativa su quanto accaduto, il primo ministro - che resta tale, avendo formato il governo e, quindi, restando in carica per l'ordinaria amministrazione - ha vergato una spietata analisi delle condizioni che lo hanno portato alla decisione di restituire il mandato, nella consapevolezza che, vista l'inesistenza di margini di manovra, non poteva fare altrimenti.

Una dichiarazione che potrebbe, anzi deve essere vista come un atto d'accusa, felpato nella forma, durissimo nella sostanza, verso una classe politica - della quale lui stesso ha ammesso di fare parte - che sembra non guardare all'interesse del Paese, vedendo ogni occasione come quella giusta per portare il sistema verso lo stress, sperando che collassi.

Per come rischia di accadere ora, con le dimissioni di Lécornu che non sono solo la consapevolezza di non potere onorare il mandato, ma dell'impossibilità di comporre la crisi ricorrendo agli strumenti tradizionali: confronto, dialogo, ricerca di soluzioni.

Cose che la Francia di oggi sembra avere accantonato, in una lotta, senza regole, a chi riesce ad accaparrarsi il consenso necessario ad andare ad occupare il principale ufficio di palazzo Matignon, magari sperando di riscrivere il futuro del Paese alle proprie condizioni.

Ma, in una Assemblée Nationale che sembra un recinto per galli da combattimento e non invece la massima rappresentazione della democrazia, gli interessi dei partiti prevalgono sul bene generale, pur sapendo che questa ricerca disperante di guadagnare rendite di posizione, in vista delle ormai probabilissime elezioni, alla fine andrà a nocumento del Paese che ora, e chissà ancora per quanto, non riesce a trovare una linea comune per affrontare i suoi tanti problemi.

A cominciare dalla voragine del debito che ha ''impallinato'' gli ultimi due primi ministri - Francois Bayrou e, prima di lui, Michel Barnier - e reso impossibile a Sebastien Lécornu cercare di trovare una soluzione per uscire dalle sabbie mobili del deficit.

Gli ultimi dati sul debito pubblico sono suonati come tocchi di campana a morto per il tentativo di Lécornu, attestando che il rapporto debito/PIL della Francia è ora il terzo più alto dell'Unione europea dopo la Grecia e l'Italia (che però stanno vedendo migliorare la situazione economica, con riconosciuto dalla agenzie di rating) . Ma, ed è questo il punto dolente, è quasi il doppio del 60% consentito dalle regole dell'UE.

Il ricorso ad una ''scappatoia'' concessa dalla Costituzione, cioè approvare il bilancio senza votazione del Parlamento, è stata esclusa da Lécornu nel disperato tentativo di chiamare i partiti ad un senso di responsabilità, che però non c'è stato. Nei 27 giorni dall'indicazione sul suo nome, da parte di Macron, Lécornu si è impegnato nella ricerca di argomenti intorno ai quali ricucire rapporti normali con le opposizioni.

Ma è apparso immediatamente difficile farlo con il Rassemblement National e France Insoumise, che hanno fatto capire che il loro solo obiettivo è quello di andare al voto, ora e non domani. Se questa scelta per l'RN è comprensibile (visti i sondaggi), meno lo è per la formazione di Jean-Luc Mélenchon, che certo non potrà ottenere i voti necessari per sedere nel posto principale al tavolo di una eventuale trattativa.

E tanto per ''rasserenare'' il clima, France Insoumise ha detto questa mattina di volere le dimissioni del presidente Macron, in quella che ha tutte le sembianze di una corsa senza freni verso il baratro.
Mélenchon confida evidentemente nella piazza, quella che, pur di non vedere Jordan Bardella (Marine Le Pen ancora deve sbrogliare le sue grane giudiziarie) andare a Matignon, è sempre pronta ad esplodere, a cedere l'iniziativa ai cassuers e non più alle parole.

Macron, quindi, con le spalle al muro. Davanti a sé, ha scelte rischiose, quale che sia alla fine quella che prenderà. Ricorrere alla nomina di un nuovo primo ministro rischia di dilatare solo i tempi della crisi e sciogliere l'Assemblée Nationale potrebbe stravolgere il quadro politico. Una tensione di cui hanno fatto le spese i mercati, con alcuni dei titoli guida della borsa di Parigi - BNP Paribas, Société Gènérale e Crédit Agricole - a registrare pesanti perdite.

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