In primo piano la tappa diplomatica che ha visto Vladimir Putin e Narendra Modi riunirsi a Delhi, una visita d’importanza strategica per entrambe le potenze, così come raccontato dalla BBC e da tutti i media internazionali. I due leader hanno chiuso la loro conferenza stampa con la firma di una serie di memorandum nei settori del commercio e dell’agricoltura, documenti non vincolanti che tracciano una rotta comune destinata a tradursi in accordi formali.
Vertice bilaterale Russia–India: Putin e Modi consolidano i rapporti strategici
Pur senza rispondere a domande dei media, i due leader hanno definito le rispettive priorità. Modi ha annunciato l’apertura di due nuovi consolati indiani in Russia e ha confermato due programmi di visti turistici, parte di un piano più vasto per rafforzare la cooperazione bilaterale. Sulla guerra in Ucraina, il premier indiano ha ribadito che l’India “si è schierata a favore della pace fin dall’inizio”, dichiarandosi disponibile a contribuire in futuro a una “soluzione duratura”.
Dal canto suo, Putin ha garantito che la Russia continuerà a fornire carburante all’India senza interruzioni e ha ricordato il coinvolgimento di Mosca nel progetto di una centrale nucleare considerata un fiore all’occhiello per il Paese ospitante. Ha poi annunciato il lancio in India di Russia Today, sostenendo che il canale permetterà al pubblico indiano di conoscere meglio il suo Paese grazie a “informazioni oggettive”. Infine, il presidente russo ha sottolineato la sintonia con Modi sul piano della politica estera, richiamando la collaborazione nella coalizione Brics e l’obiettivo di un mondo “più giusto” e “multipolare”. Dall’Asia meridionale alla Cina, una visita diplomatica di Emmanuel Macron ha attirato l’attenzione, come riferito da Reuters.
Xi Jinping ha accompagnato il presidente francese a Chengdu, un gesto raro, considerato indicativo della cura con cui Pechino coltiva i rapporti con la Francia in seno all’Unione Europea. Nemmeno Donald Trump, accolto con un banchetto privato nella Città Proibita durante la visita del 2017, aveva visto la sua agenda estendersi oltre la capitale. L’incontro sino-francese, nonostante la cordialità tra i leader, sembra per ora avere rafforzato soprattutto l’immagine diplomatica di Pechino, in un momento in cui numerosi governi si rivolgono alla Cina in cerca di stabilità economica, complici i dazi imposti da Trump.
Per Macron, reduci da mesi politicamente difficili in patria, la missione ha rappresentato un’occasione per riaffermare capacità di statista. Gli osservatori attendono di capire se la giornata, iniziata con una corsa mattutina di Macron al parco del lago Jincheng e proseguita con una visita a un sito storico della diga, porterà a concreti accordi commerciali o a segnali di distensione nelle tensioni tra Unione Europea e Cina. Il presidente francese è accompagnato dai vertici di alcune delle maggiori aziende del suo Paese. Un incontro precedente, tenutosi a Pechino, ha prodotto dodici accordi di cooperazione, su temi che spaziano dall’invecchiamento demografico all’energia nucleare fino alla protezione dei panda, senza che se ne conosca l’ammontare economico complessivo. Secondo l’economista Alicia Garcia-Herrero del think tank Bruegel, la Francia sperava che Xi potesse offrire molto, dato il lavoro europeo sulla cosiddetta dottrina di sicurezza economica.
Macron, osserva la ricercatrice, probabilmente puntava a un accordo significativo, che non si è però concretizzato. Sotto un profilo comunicativo, tuttavia, il presidente francese ha segnato un punto. All’Università del Sichuan è stato accolto come una rock star dagli studenti. Nel suo discorso ha chiesto alla Cina di riflettere sul proprio ruolo negli affari globali, definendo l’epoca attuale “un momento di rottura senza precedenti”.
Ha ricordato che il mondo costruito dopo la Seconda guerra mondiale, fondato sul multilateralismo e sulla cooperazione tra potenze, si sta “incrinando, fratturando”. Ha anche contestato la narrazione secondo cui l’Occidente inevitabilmente declina: “Molti cercheranno di dirvi che l’Europa è vecchia. Che i paesi ricchi del G7 sono arroganti. Che l’Occidente guarda dall’alto in basso il Sud del mondo. Ma tutto questo è una narrazione, un’invenzione.” Dal punto di vista economico, però, Pechino appare limitata nella capacità di concedere benefici concreti a Parigi. Non ci si aspettava, ad esempio, la firma di un ordine da 500 Airbus, perché ciò avrebbe ridotto il margine negoziale di Pechino con Washington, che preme per impegni favorevoli a Boeing.
Il Guardian racconta un incontro urgente organizzato a Bruxelles dal cancelliere tedesco Friedrich Merz con Ursula von der Leyen e il premier belga Bart De Wever. L’Unione Europea tenta di salvare un piano finanziario cruciale per l’Ucraina, mentre la guerra e i suoi effetti si aggravano. La cena privata tra i tre leader arriva nel momento in cui i funzionari belgi continuano a opporsi all’uso senza precedenti dei beni russi congelati. Con i bombardamenti russi che si intensificano, con Washington impegnata a promuovere una pace favorevole a Mosca e Kiev vicina all’esaurimento dei fondi, il blocco europeo rischia di perdere credibilità se non troverà una soluzione.
A due settimane dal vertice di metà dicembre, von der Leyen ha illustrato due vie principali. L’obiettivo è raccogliere 90 miliardi di euro, pari a circa due terzi del fabbisogno dell’Ucraina per il 2026 e il 2027, per permettere a Kiev di negoziare eventuali futuri accordi in una “posizione di forza”. Il primo scenario è quello di emettere prestiti sui mercati internazionali; il secondo prevede invece una garanzia basata su beni russi immobilizzati, soprattutto in Belgio, che l’Ucraina ripagherebbe tramite riparazioni postbelliche. Entrambe le opzioni incontrano ostacoli. Molti Stati membri non vogliono un indebitamento comune, e servirebbe l’unanimità, resa problematica dalle precedenti resistenze ungheresi.
Quanto allo schema sui beni congelati, proposto due mesi fa, resta respinto dal Belgio, che ospita circa due terzi dei 290 miliardi di euro custoditi presso Euroclear, a Bruxelles. Un diplomatico di uno Stato fondatore ha definito questo passaggio un “momento davvero importante” e ha avvertito che, se l’UE non riuscisse a garantire i finanziamenti, il fallimento coinvolgerebbe tanto il blocco quanto l’Ucraina stessa. Infine, sul fronte mediorientale la CNN riporta la morte di Yasser Abu Shabab, leader di un gruppo armato anti-Hamas sostenuto da Israele, ucciso nella Striscia di Gaza.
La sua organizzazione ha confermato l’uccisione, precisando che Abu Shabab stava tentando di ridurre la tensione in un conflitto tra membri di una famiglia in una piazza di Rafah. Una fonte israeliana aveva inizialmente attribuito la morte a “scontri interni”. Secondo due fonti israeliane, è stato tentato un trasferimento del leader miliziano in un ospedale nel sud di Israele, ma è stato dichiarato morto al suo arrivo. La figura di Abu Shabab aveva assunto un ruolo significativo nei piani – ancora poco chiari – che Israele immagina per il futuro di Gaza. Il leader trentenne stava ampliando la propria influenza nel sud dell’enclave, cercando di costruire un’area sottratta a Hamas.
Israele intendeva utilizzare le sue “Forze Popolari” per indebolire Hamas e, allo stesso tempo, per garantire progetti di ricostruzione durante la fase successiva al cessate il fuoco. Negli ultimi mesi la sua milizia aveva amministrato il flusso degli aiuti provenienti dal valico di Kerem Shalom. Hamas aveva definito Abu Shabab un traditore e aveva giurato di attaccarlo, pur senza assumersi apertamente la responsabilità della sua uccisione. Il gruppo militante ha dichiarato che il leader anti-Hamas si era imbattuto “nell’inevitabile destino di chiunque tradisca il proprio popolo e la propria patria, accettando di essere una pedina dell’occupazione”.