Economia

Salario minimo, la Corte UE traccia i confini, legittima la direttiva, ma c’è ingerenza sugli Stati

Redazione
 
Salario minimo, la Corte UE traccia i confini, legittima la direttiva, ma c’è ingerenza sugli Stati
La direttiva europea 2022/2041 sul salario minimo adeguato nasceva per migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei cittadini europei rafforzando i meccanismi nazionali di tutela salariale, senza però imporre un salario minimo uniforme né interferire con le competenze degli Stati membri. Una costruzione giuridica delicata, fondata sulla valorizzazione della contrattazione collettiva e sull’idea che un sistema negoziale robusto rappresenti la via maestra per rafforzare l’adeguatezza delle retribuzioni.

Salario minimo, la Corte UE traccia i confini, legittima la direttiva, ma c’è ingerenza sugli Stati

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza dell’11 novembre 2025 relativa alla causa C-19/23, conferma la legittimità complessiva di questo impianto. L’Unione, osservano i giudici, può intervenire per promuovere condizioni di lavoro dignitose, sostenere la contrattazione e incentivare una copertura negoziale di almeno l’80%, nella convinzione che il dialogo sociale rappresenti un presidio essenziale della democrazia economica europea. Al tempo stesso, la Corte ribadisce che l’articolo 153, paragrafo 5, TFUE esclude in modo netto qualsiasi competenza dell’UE sulla determinazione dei salari e sul diritto di associazione.

Proprio qui si colloca il ricorso presentato dalla Danimarca, sostenuta dalla Svezia, che ha contestato alcune disposizioni dell’articolo 5 della direttiva ritenendole un’ingerenza inammissibile nelle politiche retributive nazionali. La Corte, pur respingendo l’idea che l’intero provvedimento ecceda i limiti dei Trattati, individua due passaggi che superano la linea di confine. Il primo riguarda l’obbligo di utilizzare criteri prestabiliti, potere d’acquisto, distribuzione dei salari, produttività, crescita salariale, ai fini della determinazione e dell’aggiornamento del salario minimo. Il secondo attiene al divieto di ridurre il livello del minimo legale nei sistemi in cui opera un meccanismo automatico di indicizzazione. Entrambe le norme vengono annullate perché ritenute idonee a incidere in modo diretto sulle scelte retributive degli Stati membri.

Secondo l’Area Relazioni Industriali di Conflavoro, questa decisione va letta come un richiamo all’equilibrio originario della direttiva, un’Europa che promuove sistemi salariali equi ma non interferisce con la potestà nazionale in materia di remunerazione. La sentenza rafforza infatti la centralità della contrattazione collettiva come perno della definizione dei minimi retributivi e conferma che le dinamiche salariali devono restare ancorate ai contesti produttivi nazionali, alla pluralità dei contratti, alla capacità delle parti sociali di negoziare soluzioni proporzionate e flessibili.

L’annullamento delle disposizioni che avrebbero indirettamente vincolato le politiche retributive degli Stati riafferma un principio essenziale: la politica salariale non può essere uniformata dall’alto. La libertà negoziale e il diritto di associazione, ricorda la Corte, costituiscono componenti strutturali dei modelli europei di relazioni industriali e non possono essere compressi in nome di un allineamento formale dei minimi.

La pronuncia, pertanto, restituisce piena centralità all’autonomia contrattuale e conferma un’impostazione che Conflavoro rivendica da tempo: costruire un’Europa capace di garantire tutele comuni senza sacrificare la diversità dei sistemi produttivi e senza imporre vincoli che alterino l’equilibrio tra istituzioni comunitarie, Stati membri e parti sociali.
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