Forse, e lo diciamo rispettosi, prima di addentrarsi in ragionamenti che si sa già apriranno un dibattito o, peggio, scateneranno una rissa verbale, tutti dovrebbero darsi un substrato di conoscenza da cui generare le idee che si intendono sostenere.
Le visite degli studenti italiani ad Auschwitz semplici "gite": come cancellare Storia e Memoria
Quindi, volere ridurre i viaggi degli studenti italiani ad Auschwitz a semplici gite, organizzate dalla ''Spectre'' - in questo caso il Ministero dell'Istruzione - che intende propalare la verità incontrovertibile che lo sterminio degli ebrei, prima e durante la seconda guerra mondiale, fu di esclusivo dominio e responsabilità dei nazisti (e di chi, loro alleati, rastrellavano israeliti e li consegnavano a loro, che li spedivano in campi di lavoro e, una volta che la conferenza di Wannsee gettò le basi per la soluzione finale, verso quelli di sterminio), è conseguenza dell'idea che tutto serve per relativizzare i capitoli più dolorosi della storia. Anche della nostra, perché i militi della Repubblica sociale, tanto per citare un corpo che si consegnò al delirio dei nazisti, furono zelanti nell'arrestare gli ebrei e a consegnarli a chi voleva solo sterminarli.
La sortita del ministro della Famiglia e delle Pari opportunità (ripetiamo ''Famiglia e Pari opportunità"), Eugenia Roccella, secondo cui i viaggi di ragazzi italiani nel più esiziale campo di sterminio nazista altro non sono che un momento di propaganda per accreditare la narrazione che esiste un solo genocidio e che le sue responsabilità affondano le radici nel nazismo e in chi, al di fuori della Germania, ne sposò il folle disegno di purificazione della razza a colpi di zyklon B, ha spiazzato molti, e parecchi sono inorriditi.
La ministra, intervenendo ad un dibattito organizzato, ironia della sorte, dall'Ucei (l'Unione delle comunità ebraiche italiane), sul tema ''La storia stravolta e il futuro da costruire'', come se in platea sedessero amici e simpatizzanti di David Irwing e Robert Faurisson, ha detto, parlando dei viaggi degli studenti italiani nel campo di concentramento, oggi in territorio polacco: ''A cosa sono serviti? Secondo me a dirci che l'antisemitismo era qualcosa che riguardava il fascismo. Le gite ad Auschwitz sono state un modo per ripetere che l'antisemitismo era una questione fascista e basta. E quindi il problema era essere antifascista non essere antisemita. Il problema oggi è fare i conti con il nostro antisemitismo, fare i conti con il nostro passato senza illuderci che tutto si è affinato in un'epoca storica e in un'area politica, cosa che trovo difficile sostenere''.
Un ragionamento che, magari, avrebbe dovuto essere spiegato, approfondito, forse sostenendo che l'antisemitismo, come modo di pensare, ha attecchito un po' ovunque nel mondo, anche in quello comunista. E invece, come se esprimesse una verità che non ha bisogno di interpretazioni, ha legato due concetti, antisemitismo e antifascismo, come se fossero parte dello stesso problema.
Una affermazione, insieme ad altre del suo intervento, che la ministra Roccella ha voluto rivolgere ad una platea che, di antisemitismo, qualcosa pure la sa.
Ma non è questo il problema, perché, sicuri che il ministro non è incappata in una trappola che si è tesa da sola nella foga del suo disquisire, c'è da pensare che questa tessera faccia parte di un più vasto e articolato mosaico, di chi pensa che chiudere con il passato significhi cancellare, che voglia dire che quel che è stato è stato, senza mischiare l'antisemitismo dei nazisti con quello degli italiani.
Noi, insomma, restiamo brava gente, e chi se ne importa delle leggi razziali, che avevano proprio nell'antisemitismo la loro base ideologica, spazzando una convivenza tra comunità che, con qualche rara eccezione, peraltro risalente a molti secoli fa, non s'era mai interrotta.
Auschwitz, quindi, per la ministra Roccella, come Gardaland o Eurodisney dove i nostri ragazzi vanno per svagarsi. Solo che, nei due parchi tematici, il messaggio che i giovani raccolgono è quello di divertirsi e magari allentare la tensione che si accumula nello studio; ad Auschwitz si va per conoscere e riflettere, forse anche formarsi una coscienza.
Rudolf Hoss fu una piccola rotella del mortifero ingranaggio della ''soluzione finale''; lui, davanti ai giudici, disse di avere obbedito agli ordini, ma non mostrando mai orrore o pentimento o anche solo presa di consapevolezza che la sua efficienza aveva fatto del campo di sterminio una macchina perfetta. Quando la corte suprema della Polonia lo condannò a morte, il patibolo fu eretto ad Auschwitz, il luogo delle ''gite'', davanti all'edificio che per gli ebrei era l'ultimo cammino, che li avrebbe portati alla camera a gas e quindi ai forni.
Lui, con indosso non l'uniforme di Obersturmbannführer, di cui andava orgoglioso, ma un informe giaccone, quello dei detenuti polacchi, fu impiccato il 16 aprile del 1947.
Forse la sua storia viene ripetuta ai ragazzi italiani, ma se non lo fosse basterebbe solo ricordare che, per Auschwitz, passarono centinaia di migliaia di ebrei, di tutte le età prima di finire uccisi, non immaginando che sarebbero finiti in un luogo dove, almeno i nostri studenti, vanno a fare solo una gita di propaganda.