Ogni secondo in Italia si consumano 2,4 m2 di suolo per realizzare opere urbanistiche. Il Rapporto “Consumo di suolo in Italia 2023”, pubblicato dall’ISPRA, registra, inoltre, un +10% di nuova occupazione, rispetto al 2022.
Questa propensione rende le città sempre più calde e invivibili: nelle aree più sature di coperture artificiali si raggiungono temperature insostenibili comprese tra 43 e 46 gradi. Il consumo di suolo, purtroppo, aumenta anche il rischio idrogeologico: la cementificazione, infatti, impedisce al terreno di drenare le forti piogge. In un solo anno, nel nostro paese sono stati però occupati da opere urbanistiche oltre 900 ettari in aree nazionali a elevata pericolosità idraulica.
Fortunatamente, sta prendendo piede, anche nel nostro paese, l’importanza di rigenerare ciò che già è stato costruito, piuttosto che occupare nuovo terreno. Secondo il Primo Rapporto nazionale sulla rigenerazione urbana, realizzato da Scenari Immobiliari e Urban UP | Unipol, al 2050, la superficie territoriale nazionale potenzialmente rigenerabile potrebbe raggiungere i 920 Km2, corrispondenti a circa l’1,6% della superficie urbanizzata nazionale. Tale approccio rigenerativo avrebbe ricadute positive in termini economici e occupazionali, generando 2.300 miliardi di euro nei prossimi 26 anni e una domanda di 100.000 nuovi addetti da inserire nella filiera immobiliare.
“Il futuro del mercato immobiliare deve attingere dal suo passato – racconta Alessandro Gatti, esperto di real estate e Presidente di Rehalta, società immobiliare che si occupa esclusivamente di rigenerazione urbana -. Negli ultimi decenni l’urbanizzazione ha consumato migliaia di ettari, a fronte di una popolazione in calo demografico continuo. L’Italia, oggi, è un paese con tanti spazi e sempre meno persone che possano viverli”. Sono infatti, più di 5 milioni gli edifici abbandonati, secondo l’ultimo censimento Istat, tra case, fabbriche, capannoni industriali, scuole, cinema, teatri, monasteri, negozi, uffici, ospedali e stazioni ferroviarie dimenticate, ma anche beni confiscati alla mafia.
“Non dimentichiamo poi che l’Italia è il paese dei piccoli borghi; Istat ne ha censiti 5.490, che ospitano il 17% della popolazione e coprono il 54% della superficie del Paese. Si tratta di luoghi che, a mio avviso, hanno un grandissimo potenziale inespresso. Sono, infatti, luoghi spesso abbandonati o in progressivo spopolamento, ma che svolgono un ruolo insostituibile di presidio e cura del territorio, custodendo cultura, tradizioni enogastronomiche e artigianali secolari. Questi luoghi, se riqualificati e valorizzati con lo sviluppo di servizi, possono diventare attrattivi per i giovani, spesso in fuga dai grandi centri urbani e alla ricerca di soluzioni più a misura d’uomo in cui vivere. Ma possono anche diventare nuove mete turistiche, in grado di richiamare sempre più visitatori, anche stranieri, e alleggerendo la pressione turistica sulle grandi città storiche. Così come possono aiutare la destagionalizzazione del turismo diventando luoghi dedicati sia allo smartworking che alla vacanza” prosegue Gatti.
La rigenerazione, sia che si tratti del grande contesto urbano o del piccolo borgo spopolato, in definitiva, agisce positivamente su più macro livelli; ecco quali secondo Gatti:
- Aumento della sicurezza urbana: gli edifici abbandonati, privi di manutenzione e illuminazione, ospitano spesso attività malavitose, diminuendo la sicurezza e la vivibilità dei quartieri.
- Nuove opportunità economiche e occupazionali: donare nuova vita agli edifici obsoleti o dimenticati contribuisce a creare città più belle, ordinate, attrae nuovi investimenti e nuovi abitanti, crea posti di lavoro e stimola l'economia locale.
- Sostenibilità ambientale e sociale: da un lato vengono realizzati edifici energeticamente efficienti, puntando sulla mobilità sostenibile e la creazione di nuovi spazi verdi, dall’altro prendono il via servizi e luoghi di aggregazione a uso della comunità, migliorando la coesione sociale e riducendo le disuguaglianze.
- Ridurre la produzione di rifiuti edili: l’Europa, solo in un anno ne genera circa 500 milioni di tonnellate. Riqualificare e recuperare, al posto di demolire, consente, quindi, di produrre meno macerie.
La rigenerazione rappresenta il futuro dell’immobiliare. Anche l’Ue ha definito l’obiettivo di un consumo netto di suolo pari a zero per il 2050.
“Come sempre accade, per avere un macro cambiamento è necessario partire da scelte micro. Come sviluppatore immobiliare, Rehalta ha deciso di occuparsi unicamente di progetti che non comportino nuova occupazione di suolo. Agendo in questa direzione si instaura un circolo virtuoso per il territorio, che non solo diventa più bello, ma si lancia un segnale positivo, emulato poi da altri e generando benessere diffuso” conclude Alessandro Gatti.