Domani Giorgia Meloni si trova davanti ad una delle sfide più impegnative del suo mandato, perché, sul tema del riarmo europeo, la coalizione si è spaccata, mostrando, in modo che più chiaro non potrebbe essere, che stanno riemergendo le distanze politiche tra i vari partiti, allo stesso moto in cui si manifestano le ambizioni personali, che invece, in simili contingenze, dovrebbero restare ben celate.
Riarmo: Meloni deve ricompattare la maggioranza, prima che sia tardi
La maggioranza, sul controverso piano sostenuto e fatto approvare, in europarlamento, da Ursula von der Leyen (tacendo della disintegrazione della cosiddetta opposizione italiana), ha votato in modo diverso (sì FdI e Forza Italia, no Lega) dando l'immagine più veritiera di rapporti interni che sembrano logorarsi, a dispetto degli appelli all'unità e delle comparsate televisive nelle quali si punta più il dito sui guai della sinistra che non guardando ai propri.
Ma l'appuntamento di domani, al di là della capacità di Giorgia Meloni di eludere trappole dialettiche che potrebbero venirle dalle opposizioni, resta cruciale perché ad esso il presidente del consiglio deve arrivare con una piattaforma di sintesi delle diverse posizioni.
Quella agognata soluzione, figlia di un lavoro di mediazione che oggettivamente appare lontana, ma non per questo da escludere.
Sulle spalle del presidente del consiglio c'è l'apparentemente missione impossibile di indurre i suoi due vice a mettersi d'accordo su una formulazione di compromesso che, non potendo mettere assieme posizioni antitetiche, eviti di evidenziarlo troppo.
Facile a dirsi, perché né Antonio Tajani, né Matteo Salvini sembrano avere la minima intenzione di fare un passo indietro che gli farebbe perdere la faccia.
Il segretario leghista, peraltro, essendo riuscito a portare dalla sua parte anche Giancarlo Giorgetti (che ha assunto una postura politica da combattimento anche in sede di consiglio dei ministri) e avvicinandosi alla assise nazionale del partito, non può certo mostrarsi debole.
Anche perché i malumori interni alla Lega sono solo accantonati, ma non certo rimossi, e il continuo andirivieni di Roberto Vannaci tra le professioni di fedeltà e la tentazione di andare da solo non è che aiuti molto.