Il presidente del Consiglio è tornata a incrociare le spade con l'opposizione, in Senato, in un'occasione, il "premier time", che, al di là del nome roboante e un po' troppo "americaneggiante", è stato il momento in cui Giorgia Meloni ha ripetuto le linee guida del governo e sue personali in quella che è stata sostanzialmente la riproposizione dei punti fermi che l'esecutivo si è dato.
Meloni al Senato sotto il tiro delle opposizioni
Argomenti noti, ma sui quali il presidente del consiglio ha, in questi mesi e anni, voluto rarefare i suoi interventi in un contraddittorio con le opposizioni, preferendo altri modalità di comunicazione, dialogando con gli elettori con video preregistrati, e quindi senza contraddittorio sulle singole affermazioni, e acuendo le proteste di chi, in Parlamento e nel Paese, lamenta una mancanza di contatto diretto.
Ma, in Senato, Giorgia Meloni non ha mostrato alcuna remora a controbattere le affermazioni - spesso delle accuse - delle opposizioni su temi di grande attualità, come la guerra in Ucraina, la spesa da destinare alla difesa, l'energia, le riforme annunciate.
Il presidente del consiglio ha detto che "siamo sempre stati e continueremo ad essere al fianco dell'Ucraina. Oggi sosteniamo gli sforzi dell'amministrazione americana per una pace giusta, duratura che non può prescindere dalle garanzie di sicurezza efficaci per la nazione aggredita, rinnoviamo l'urgenza di un cessate il fuoco immediato, incondizionato, l'auspicio che la Russia voglia dimostrare concretamente la volontà di costruire la pace, perché l'Ucraina lo ha già fatto".
Su un tema, per così dire, "a latere" rispetto a quello dei pericoli per avere la guerra ai confini dell'Europa, il presidente del consiglio ha subito una stilettata da Carlo Calenda, leader di Azione.
Dopo che Meloni ha detto: "lo dico da patriota: la libertà non ha prezzo, nel 2025 spenderemo in difesa il 2% del Pil", è arrivato l'attacco di Calenda che ha detto: "Se pensiamo di affrontare questa fase della storia con un esercito che ha una media di 59 anni e che non ha sufficienti capacità operative, diventiamo una nazione di serie C. Che io lo debba ricordare alla destra italiana mi sembra surreale. Questo è il gioco delle tre carte".
Ma è stato quello con l'ex presidente del consiglio, Matteo Renzi, il confronto più caldo, con il leader di Italia Viva che ha contestato l'atteggiamento del governo e della stessa Giorgia Meloni su più argomenti, dalle nazionalizzazioni alle riforme, alla giustizia alla legge elettorale.
"Dimissioni in caso di sconfitta al referendum? Non farò mai niente che abbia già fatto lei", ha detto il presidente del Consiglio, dando a Renzi modo di replicare: "Ha detto che non farà ciò che ho fatto io. Nel 2015 in Tv disse che tra Putin e il presidente Mattarella stava dalla parte del presidente russo. Tra lei e Putin io sto dalla sua parte, perché sono un patriota vero che crede all'Italia. Lei oggi ha perso all'ennesima occasione per rispondere nel merito e ha continuato con l'aggressione personale".
E ancora: "Lei, presidente Meloni, ha promesso una riforma della giustizia garantista. Detto da voi, fa quasi ridere. Se vogliamo credervi, fate una cosa: prima di approvare in via definitiva la riforma garantista sulla giustizia perché non fate quello che avete detto, cioè andate a Bibbiano. La stanno ancora aspettando per chiedere scusa a quella comunità per il vostro giustizialismo. Dall'euro alla Nato, da Putin alle trivelle. Lei è campionessa mondiale di incoerenza. Su cosa la giudichiamo visto che cambia idea su tutto?".
Più "politico" l'intervento della segretaria del Partito democratico, Elly Schlein, che ha parlato dei referendum, sui quali si voterà a giugno e che, ha detto, il governo ha invitato a boicottare per "paura".
"Finalmente gli italiani saranno chiamati a esprimersi sulla cittadinanza e sul lavoro, che la destra in questi due anni e mezzo ha reso sempre più precario, scegliendo di stare dalla parte dei più forti e dimenticando i più ricattabili", ha detto, aggiungendo: "Non solo, l'invito all'astensione è un tradimento dei principi costituzionali che fissano il voto come un 'dovere civico'. Un governo che teme che il popolo possa esprimersi, è un governo che teme il popolo stesso".
La replica del presidente del consiglio non è stata meno puntuta delle contestazioni. A Renzi ha detto che "sui dossier strategici c'è da dire che abbiamo ereditato delle 'situazioncine' un tantino compromesse che cerchiamo di sistemare una a una", e comunque il "premierato sta andando avanti", ma che tocca al Parlamento esprimersi su un progetto su quale la maggioranza "è intenzionata a procedere spedita", allo stesso modo in cui è "esattamente come è intenzionata a procedere spedita sulla riforma della giustizia".