Nel vocabolario della politica italiana (in cui i lemmi veramente importanti non sono molti) ci sono parole che, più di altre, dovrebbero essere impresse a lettere di fuoco. Una per tutte - è la nostra opinione, ovviamente - è "opportunità", un concetto, sebbene dai contorni vaghi e strumentalizzabili, oggi è attuale più che mai, con il caso di Daniela Santanchè a tenere banco.
Ma non è solo una questione che riguarda la ministra del Turismo, perché investe anche il governo e, quindi, in prima battuta, Giorgia Meloni che, impegnata anche in queste ore a tessere la sua fitta e proficua rete di rapporti internazionali, di certo avrebbe voluto fare a meno di essere guardata come quella che, su questa storia, una decisione prima o poi la deve pure prendere.
Resistere, resistere, resistere: ma questa volta a dirlo è Daniela Santanchè
Una trappola politica, in cui il presidente del Consiglio è stata tirata, non ultimo per mano (o bocca) della stessa Santanchè che, appena poche ore fa, ha messo Giorgia Meloni nella scomoda posizione di chi ha nelle mani le sorti della sua ministra.
Perché Santanchè, davanti alla forte pressione delle opposizioni e sulla scia delle nuove rivelazioni della trasmissione Rai Report, non ha detto solo che a dimetterci non ci pensa nemmeno, ma che una decisione sul suo futuro da ministra è solo del premier.
Quindi, per la ministra del Turismo (che sembra avere fatto proprio il ''resistere, resistere, resistere'' coniato da Vittorio Emanuele Orlando e fatto suo da Saverio Borrelli, nell'ultimo intervento in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario, nel 2008) , la faccenda è solo politica e per questo le sue vicende giudiziarie non possono avere riflessi sul ruolo dentro il Governo.
Un punto di vista da rispettare, ma che entra pesantemente in rotta di collisione contro il concetto di opportunità suesposto, perché, se è vero che le contestazioni giudiziarie riguardano accuse sulla correttezza dei bilanci dell'editore Visibilia, di cui era il punto di riferimento riconosciuto da tutti, non si può certo cancellare la tempistica di questa storia, i cambi di proprietà, gli interventi di finanziatori esterni, il ''salvataggio'' (di cui ha parlato ieri Report) per mano di un ''cavaliere bianco'' di cui la trasmissione di Sigfrido Ranucci ha raccontato, vita, morte, miracoli e inciampi con la Giustizia.
Il problema, quindi, non è cosa Daniela Santanché dice di avere fatto o non fatto e le contestazioni della procura di Milano, ma capire sino a che punto la sua difesa personale sarà negativa per il governo.
Perché, peraltro, la ministra non può cancellare il fatto che mercoledì la Cassazione dovrà decidere la competenza territoriale (Milano o Roma) su un'altra accusa contro di lei, E questa sì politicamente ben più imbarazzante, affermando che il personale di Visibilia, messo a sua insaputa in cassa integrazione per la pandemia, ha continuato a lavorare quando invece avrebbe dovuto restare a casa.
Qui non si parla di arzigogoli contabili o di mercato messi in atto per taroccare i bilanci (accusa comunque grave), ma di una truffa che vede a rischio un ministro della Repubblica che sarebbe incorsa nel reato in cui parte offesa è un organismo dello Stato (l'Inps).
E se anche questo procedimento dovesse portare la ministra davanti ad un tribunale, chiederebbe, come sta facendo, di attendere la fine di un processo che ne sancisca la colpevolezza? Lei che, negli anni, ha chiesto le dimissioni di suoi avversari politici anche per fatti molto meno gravi o solo basandosi su flebili sospetti?
Con i tempi della giustizia italiana, se ne parlerebbe chissà quando.
Ma lei dice di volere restare, che un rinvio a giudizio non significa nulla, che gode del sostegno di Salvi e Tajani (in questo caso mischiando disinvoltamente il côté politico (che in un'aula di giustizia conta come il due di coppe, quando la briscola è a spade) con quello giudiziario. Contenta lei...