Mentre l’Italia si interroga sul proprio futuro tra longevità crescente e natalità ai minimi storici, un’altra emorragia silenziosa sta svuotando il tessuto produttivo e intellettuale del Paese: quella dei giovani laureati. A certificarlo è il Rapporto annuale 2025 dell’Istat, presentato alla Camera dal presidente Francesco Maria Chelli, che consegna un quadro nitido e allarmante: dal 2013 al 2023, quasi 97mila giovani altamente qualificati hanno lasciato l’Italia, attratti da stipendi più alti e migliori prospettive occupazionali all’estero.
Dal Rapporto Istat 2025 un allarme sistemico per il futuro del Paese
Solo nel 2023, infatti, sono emigrati oltre 21mila italiani tra i 25 e i 34 anni con un titolo universitario, segnando un incremento del 21,2% rispetto all’anno precedente.
I rientri? Residuali: appena 6mila, in calo del 4,1% sul 2022. Il saldo netto è impietoso: 16mila menti perse in un solo anno, mentre il Paese fatica a trattenere e valorizzare il proprio capitale umano.
Eppure il livello di istruzione in Italia è aumentato sensibilmente negli ultimi trent’anni: tra il 1992 e il 2023 la quota di laureati tra i 25-34enni è passata dal 7,2% al 30,6%, con un tasso ancora più alto tra le donne (37,1%) . Nonostante ciò, il mercato del lavoro italiano fatica a offrire impieghi adeguati alle qualifiche ottenute, rendendo l’espatrio non solo una scelta di crescita, ma spesso l’unica via per realizzare le proprie aspettative professionali.
A pesare sono anche i divari territoriali e la persistente sottoutilizzazione del potenziale femminile e giovanile: l’Italia resta fanalino di coda in Europa per tasso di occupazione nella fascia 15-64 anni (62,2%), e con un divario di genere stabile a 17,8 punti percentuali .
Se alla fuga dei laureati si affianca il crollo della natalità – appena 370mila nascite nel 2024, il minimo storico – la fotografia è quella di un Paese in contrazione strutturale. L’indice di fecondità è fermo a 1,18 figli per donna, mentre la popolazione residente è scesa sotto i 59 milioni, con una dinamica naturale fortemente negativa e un saldo migratorio positivo, ma insufficiente a compensare le perdite .
Non è solo un problema di numeri, ma di visione strategica. L’Italia sta invecchiando senza costruire un ricambio generazionale all’altezza delle sfide globali, tecnologiche e ambientali. E anche laddove le nascite e le competenze crescono – come tra le giovani donne o nelle aree metropolitane – la mancanza di politiche efficaci di valorizzazione e inclusione professionale spinge all’estero energie vitali per l’economia e l’innovazione.
La perdita di capitale umano qualificato ha conseguenze profonde e durature. La stessa Istat segnala che la quota di laureati impegnati in settori ad alta tecnologia e innovazione resta inferiore di 10 punti percentuali rispetto a Germania e Spagna, e di 17 punti rispetto alla Francia . Questo ritardo, unito a una bassa intensità di investimenti in Ricerca e Sviluppo e a una digitalizzazione delle imprese ancora modesta, mina le prospettive di competitività dell’intero sistema produttivo.
Il Rapporto Istat 2025 non si limita a descrivere i sintomi, ma pone con forza la questione: quale strategia può invertire questa doppia deriva demografica e intellettuale? Servono politiche strutturali e integrate: investimenti nell’istruzione tecnica e universitaria, incentivi al rientro dei “cervelli in fuga”, programmi di attrazione dei talenti stranieri, riforme del lavoro e del welfare familiare, ma anche un cambiamento culturale che riconosca valore e dignità al merito, alla mobilità e all’innovazione.
Perché se è vero, come scriveva Italo Calvino, che “la leggerezza non è superficialità”, allora l’Italia dovrà imparare a essere leggera come chi sa volare, non come chi si lascia sfuggire le sue intelligenze migliori.