Paul Trouillebert, Costruzione del ponte della Petite Ceinture su cours de Vincennes, 1888, olio su tela
Un fruscio nel sottobosco, lieve come un respiro trattenuto, solleva uno stormo d’uccelli verso il cielo. I loro battiti d’ali si mescolano al sussurro del vento tra gli alberi. Si potrebbe giurare di essere nel cuore di una campagna lontana, dove il tempo si piega alla contemplazione. E invece, a pochi passi, ruggisce il Boulevard Périphérique, la corona di traffico incessante che cinge Parigi come un anello d’asfalto e metallo. Questo contrasto, tra la furia del mondo moderno e la quiete di un angolo rinaturalizzato, è l’essenza stessa della Petite Ceinture, l’antica ferrovia metropolitana che un tempo abbracciava la capitale francese, oggi metamorfosi verde in atto, inno urbano alla natura che resiste.
Il poetico sussurro della Petite Ceinture
Un’anima dimenticata che ora torna a parlare, attraverso il fogliame, il canto degli uccelli, il silenzio dei passi. E, soprattutto, attraverso un nuovo progetto di riconversione che ha il sapore di un poema ecologico.
La Petite Ceinture, letteralmente "la piccola cintura", nacque nell’Ottocento: 32 chilometri di rotaie appena all’interno della tangenziale, create per rifornire il muro di Thiers, ultima cinta difensiva di Parigi. Poi vennero le baracche, poi ancora, nel Novecento, l’epopea dell’automobile, e su quel passato si stese l’ombra del Périphérique, otto corsie e oltre un milione di veicoli al giorno.
Ma, mentre il tempo modernista divorava il paesaggio, la Ceinture taceva avvolta dal più totale oblio. Ma nel suo silenzio, come spesso accade, germogliava una nuova vita. Fino a quando, nel 2006, con il lento incedere di un sogno urbano, SNCF Réseau (ramo della compagnia ferroviaria statale) e la Città di Parigi hanno iniziato a restituire tratti di quei binari alla città e ai suoi abitanti. Sino ad oggi sono sette i chilometri trasformati in corridoi verdi. Altri quattro saranno aperti entro il 2026. Il resto resta nascosto, segreto, alla maniera di certe poesie immaginate ma non ancora scritte.
Come i quartieri che attraversa, ogni sezione della Petite Ceinture ha un carattere, una voce. Per esempio nel 12° arrondissement, Bel-Air, è la grazia a dominare: alberi curati, silenzi densi, orti ordinati. Una coppia di anziani passeggia a braccetto tra i binari, mentre un uomo rastrella con calma la terra: un gesto quotidiano, quasi liturgico. Altrove, il volto si fa più notturno.
E così nel 19°,anima una vecchia stazione abbandonata, la Gare-Le Gore,: jazz sperimentale fino a mezzanotte, techno fino all’alba: qui il battito della Ceinture è urbano, elettrico, vibrante.
Nel 15°, invece, il confronto con la High Line newyorkese si fa più diretto. Una passerella ordinata, ristoranti alla moda come Voie 15, giovani professionisti al laptop e jogger che scandiscono i minuti del giorno. Una parentesi di contemporaneità che, a tratti, permette perfino di scorgere la cima della Torre Eiffel incorniciata tra le facciate residenziali. Nel benestante 16°, la Ceinture si fa foresta urbana: noccioli, prugnoli, uva spina, viburno, buddleia.
Fiori spontanei e cespugli si intrecciano in un mosaico che richiama i tempi in cui Parigi non era che un agglomerato di villaggi. E proprio qui, tra i percorsi curati con disarmante perfezione, sorge l’inatteso: il fango sugli stivali, la meraviglia del selvatico.
Eppure, la Ceinture più autentica è quella dove la natura si riprende la scena. Tra Avenue du Général Leclerc e Rue Didot, nel 14°, le rive alte e frondose ospitano oltre 250 specie di piante e animali. D’inverno, il tunnel a ovest si fa rifugio per pipistrelli in letargo, ricci, volpi, uccelli e arbusti selvatici.
Qui Parigi si dimentica della sua civiltà, e la natura, finalmente, canta. E la sua voce sembra farsi eco tra le foglie e gli orti condivisi, tra i pollai e le biciclette parcheggiate. "In un quartiere molto denso con pochi spazi verdi, sembra importante lasciare che la natura reclami i suoi diritti e aiuti l’agricoltura in città", racconta Marie-Eugénie Chanvillard, responsabile del progetto eco-culturale La REcyclerie, a The Guardian.
Quello della Petite Ceinture è insomma un modo di vivere la città che ribalta i paradigmi, suggerendo, con forza gentile, che l’urbanità non deve per forza coincidere con l’asfalto. E che la vita comunitaria può prosperare sulle rovine del passato, tra rovi e rotaie. Così accade a La REcyclerie, stazione rinata come eco-centro, mensa, mercato, orto urbano e spazio culturale.
Oppure alla Ferme du Rail, nei pressi del Canal de l’Ourcq, dove studenti e persone fragili abitano insieme, coltivano terra e dignità, e servono ciò che raccolgono nel ristorante Le Passage à Niveau. Un’economia sostenibile che profuma di terra e speranza. Camminando nella vivace Ménilmontant, ultima tappa di questo viaggio circolare, la Petite Ceinture si rivela per ciò che davvero è: un racconto di resistenza. Un poema in forma di sentiero. Un luogo in cui la città si ascolta, si osserva, si riconcilia con ciò che ha dimenticato.
"In alcune parti tornerò, in altre no, ma rappresenta un lato più selvaggio di Parigi, un mondo lontano dal caos della vicina capitale", dice un uomo a The Guardian.
Un’osservazione semplice, eppure necessaria. Perché in quel "lato selvaggio" si annida la possibilità di una metropoli diversa: più quieta, più attenta, più umana. Né reliquia né moda, la Petite Ceinture è semplicemente una promessa. Un sussurro che dice che anche nelle città più dure, anche tra le pietre più fredde, la vita trova il modo di rifiorire. E se si è abbastanza pazienti, se si tende l’orecchio con la giusta delicatezza, la si può persino sentire respirare.