FOTO: Facebook - Nives.Monda
"Munasterio ‘e Santa Chiara tengo 'o core scuro scuro", cantava malinconica l’anima antica di Napoli fra le pietre del famoso eremo che ancor oggi veglia sulla città con la pazienza delle madri del Sud. E mai come oggi quella strofa risuona cupa e profetica. Sì, perché nel regno surreale di Partenope, dove le regole si piegano con la grazia di un mandolino ubriaco, e l’assurdo trova residenza stabile tra i vicoli antichi e le piazze urlanti, accade che una panchina diventi un problema di ordine pubblico. Non una qualunque, beninteso.
Napoli e la panchina "criminale" che sfida l’assurdo
Una "panchina letteraria", costruita con legno riciclato, facilmente rimovibile, simbolo di socialità e cultura gratuita, si è ritrovata bollata come occupazione abusiva di suolo pubblico. Succede in via Santa Chiara, appunto: cuore pulsante del centro storico di Napoli, dove il tempo scorre tra le campane delle chiese gotiche e le risate strozzate dai motorini. Qui, la "Taverna a Santa Chiara", presidio culturale e gastronomico, riceve una multa di oltre cento euro in un sabato sera come tanti.
Motivo? La presenza all’esterno di quella panchina che, dal 2020, offre riposo, letture, incontri e presentazioni di libri a chiunque osi abitare la città senza consumarla.
"Io ero in cucina, sommerso di cose da fare – racconta Potito Izzo, socio della Taverna – quando sono arrivati gli agenti. Tutto in ordine: cucina, igiene, documenti. Ma alla fine, con sguardo mesto e la delicatezza di un plotone d’esecuzione, mi comunicano la sanzione per la panchina. Come se avessimo allargato il locale con tavolini abusivi".
E qui l’assurdo si fa farsa: in una città dove i tavolini selvaggi invadono i marciapiedi come parassiti urbanistici, dove cartonati di pizzaioli fanno da arredo urbano davanti a palazzi del Trecento, dove la sede stradale è ogni giorno teatro di tutto e di più, tra i fumi di motori, la colpa ricade su una panchina che non vende nulla, non occupa nulla, ma semplicemente… accoglie.
L'installazione di questa "panchina eretica" risale al luglio del 2020, in piena pandemia, quando una delibera straordinaria autorizzava i commercianti a piazzare dehor e tavolini all’aperto.
Ma Nives Monda, altra anima della Taverna, decise di non aderire alla moda dell’assalto allo spazio pubblico.
Optò invece per un gesto poetico e politico: una panchina per tutti, non un privilegio per chi consuma. Un simbolo. Un presidio. Un respiro urbano.
"È il paradosso in cui siamo caduti – commenta amareggiata – abbiamo scelto di non contribuire all’invasione del vicolo, e oggi veniamo trattati come se avessimo allargato il ristorante senza permesso. La città si evolve solo in funzione dei turisti, lasciando indietro gli abitanti".
Ed è proprio questo il punto dolente, la ferita aperta e ignorata: una città che svende i suoi spazi al miglior offerente, mentre multa chi prova a creare cultura, comunità, resistenza al degrado della mercificazione. Una panchina che ha ospitato presentazioni di libri, che ha accolto anziani stanchi, bambini curiosi, studenti pensierosi. Una panchina che fu, all’epoca, candidata a diventare Bene Comune, attraverso un percorso burocratico iniziato con entusiasmo e interrotto da un cambio di amministrazione.
Quella stessa amministrazione che oggi, con tracotanza degna di un dramma pirandelliano, preferisce punire piuttosto che comprendere.
Nel frattempo, le periferie sprofondano nell’oblio, i rioni flegrei contano i morti e non le soluzioni, il traffico impazza tra doppie file e venditori abusivi di ogni genere di merce, e il Comune – quello che dovrebbe rappresentare la comunità – scompare come un miraggio tra le nebbie di Palazzo San Giacomo.
Che sia questa la Napoli moderna? Una città dove si vendono pezzi di patrimonio immobiliare come cioccolatini alla stazione, dove il suolo pubblico è solo terreno fertile per dehor e spritz a 12 euro, e dove il mare – tanto cantato, tanto invocato – è sempre più un bene privato? Eppure, in tutto questo, l’assurdo resta: un’amministrazione che non riesce a vedere nella panchina un gesto virtuoso, ma solo un abuso da sanzionare.
Perché una panchina non porta incasso, non genera profitto, non attrae investitori. Porta solo umanità. E forse è proprio questo che fa paura.
"Ovviamente faremo ricorso – annuncia Nives –, ma avvieremo anche una raccolta firme per far riconoscere la panchina come Bene Comune". Un’azione concreta, un tentativo di riportare la città a sé stessa, ai suoi abitanti, ai suoi desideri. Perché Napoli è, o dovrebbe essere, una città che canta, non che sanziona; una città che include, non che recinta; una città che racconta storie, non che le cancella con una multa.
E allora, se la panchina resterà – o verrà rimossa – non sarà solo un dettaglio d’arredo urbano, ma una questione politica. Così come lo è la libertà del mare, la tutela dello spazio pubblico, la dignità degli artisti di strada, la lotta contro la turistificazione selvaggia e i fitti brevi che espellono i residenti. Nel frattempo, la panchina aspetta. Non chiede molto: solo che qualcuno si sieda, legga, sogni. Anche questo, a Napoli, oggi è un atto rivoluzionario.