Oltre al cordoglio unanime di chi in queste ore piange il Santo Padre, spicca la voce diversa di chi, alla notizia della morte di Papa Francesco, ha commentato su X: "Esiste per tutti un Giudizio particolare, a cui anche Bergoglio non ha potuto sottrarsi", e ora la sua anima "dovrà rendere conto dei crimini di cui si è macchiato, primo fra tutti l’aver usurpato il soglio di Pietro per distruggere la Chiesa Cattolica e perdere tante anime. Se questo non-papa e anti-papa non potrà più nuocere al Corpo Mistico, nondimeno rimangono i suoi eredi, gli eversori che egli ha invalidamente creato cardinali e che da tempo si organizzano per assicurare un continuatore della rivoluzione sinodale e della destrutturazione del Papato. A dar loro manforte, accorrono i Cardinali e i Vescovi conservatori che si sono ben guardati dal mettere in discussione la legittimità di Jorge Bergoglio. È su costoro che grava la maggiore responsabilità per gli esiti del prossimo conclave".
Papa Francesco: le voci "contro"
Parole segno e simbolo di una rottura all’interno della Chiesa che si consuma da anni, ma che oggi si mostra con contorni sempre più netti nel commento di Monsignor Carlo Maria Viganò, ex nunzio apostolico negli Stati Uniti e figura simbolo dell’opposizione più radicale al pontificato di Papa Francesco, che lo ha scomunicato.
A febbraio aveva dichiarato: “Occorre impedire che la gerarchia progressista possa assicurare un successore a Bergoglio, ossia un altro usurpatore sul Soglio di Pietro che sia l’erede e il continuatore del precedente. Prima di piantare l’ultimo chiodo sulla bara di Bergoglio è dunque indispensabile e indifferibile che venga fatta luce sull’usurpazione da lui perpetrata e sull’occupazione della Chiesa Cattolica da parte di una gerarchia corrotta e traditrice, il cui unico scopo è di distruggerla dall’interno”.
Le differenze tra le due figure non sono semplicemente personali o di stile: riflettono una divergenza profonda sul ruolo della Chiesa, sulla dottrina stessa del Cattolicesimo nel XXI secolo. Da una parte una visione spesso detta progressista, dall’altra una tradizione da custodire e, in alcuni casi, da restaurare.
Non si tratta solo di differenze di temperamento o di priorità pastorali: è un confronto che tocca l’identità stessa della Chiesa nel mondo contemporaneo. Francesco ha insistito sulla necessità di una Chiesa capace di vivere in sé stessa le contraddizioni del tempo presente, di incontrare chi è ai margini, di ascoltare prima di giudicare.
Il suo magistero ha tradotto la dottrina in un linguaggio che punta all’inclusione, più che al rigore.
Dall’altro, Viganò richiama l’urgenza di difendere il Vangelo da quanto considerato un processo di dissoluzione interna, che ha avuto inizio con il Concilio Vaticano II e acuito, a suo dire, dalle aperture pastorali dell’attuale pontificato.
Le sue dichiarazioni, diffuse attraverso canali indipendenti, contestano radicalmente la direzione impressa da Francesco, accusato di ambiguità dottrinali, di compromesso con le ideologie del tempo e di tolleranza verso ciò che in passato la Chiesa avrebbe condannato con fermezza.
Nelle parole di Viganò, riferimenti al globalismo, alla massoneria, a poteri occulti che agirebbero contro la Chiesa: una narrazione particolarmente sostenuta negli Stati Uniti, dove una parte del mondo cattolico si riconosce in un’idea di Cristianesimo fortemente identitario e conservatore.
Le sue osservazioni, in questo contesto, sono state riprese e amplificate, diventando espressione di un disagio che non si esaurisce nei confini del dibattito teologico. Papa Francesco, da parte sua, scelse di non entrare in polemica diretta in un silenzio, spesso interpretato come segno di disinteresse, che sembrava invece riflettere una volontà di non alimentare divisioni.
Francesco ha spesso parlato di sinodalità, di fratellanza, di un Vangelo che si incarna nella storia, anche a costo di suscitare resistenze, che di certo non sono mancate: alcune manifestano un disagio legittimo dinanzi a un mondo in rapida trasformazione; altre si esprimono in forme di radicalizzazione che pongono interrogativi sulla tenuta dell’unità ecclesiale.
Il caso Viganò non è solo una polemica personale, ma il sintomo di una tensione più ampia che attraversa la Chiesa: tra chi guarda al passato come riferimento normativo e chi cerca nel presente nuove vie di testimonianza.
Per ora, queste due visioni convivono, seppur tra fatiche e incomprensioni, ma resta aperta la domanda su come la Chiesa riuscirà a comporre, senza rinunce né strappi, le diverse anime che la abitano.
Critico verso Francesco anche il premier israeliano Netanyanu che, a differenza dei leader arabi e dello stesso presidente Isaac Herzog, ha accolto la notizia della scomparsa del Pontefice in un silenzio di gelo, dovuto presumibilmente alla netta condanna del Papa di quanto avviene, ed è avvenuto, a Gaza, descritto come “un genocidio”.
“È stato un Papa estremamente problematico per il mondo ebraico", ha detto Alexander Meloni, Rabbino Capo della Comunità ebraica di Trieste, ai microfoni Rai del Tgr del Friuli Venezia Giulia, aggiungendo: “Ha risvegliato certe estensioni nel rapporto tra ebraismo e cristianesimo di cui abbiamo risentito molto, soprattutto dopo il 7 ottobre, nelle sue prese di posizione”.
In questo caso, la replica, immediata, arriva dal capogruppo al Senato del Movimento 5 Stelle, Stefano Patuanelli, che ha definito le parole del rabbino "fuori luogo": "Non ha alcun senso – ha detto – alimentare polemiche. Anche per chi non ha fede, in questi giorni si celebra un grande uomo senza alcuna distinzione".