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L'ultimo saluto a papa Francesco: la sua tomba nella 'Betlemme dell'Occidente'

Barbara Leone
 
L'ultimo saluto a papa Francesco: la sua tomba nella 'Betlemme dell'Occidente'

Nel cuore dell’estate romana, quando il sole incendia le pietre antiche e l’aria vibra, immobile e densa, come trattenuta dal respiro stesso dell’eternità, una leggenda si ridesta lieve come una nenia eppure incisa nel tempo. È il racconto di una notte remota, quella del 5 agosto del 352 dopo Cristo, in cui la Vergine apparve in sogno a papa Liberio e a un patrizio romano, tracciando con parole celesti il disegno di un prodigio.
“Là dove la neve cadrà in piena estate – disse - là sorgerà la mia casa”.
E così fu.

L'ultimo saluto a papa Francesco: la sua tomba nella 'Betlemme dell'Occidente'

Il giorno seguente, sull’Esquilino, si posò un manto bianco, dolce come un segreto svelato, sfidando le leggi del mondo per affermarne una più alta. Così nacque Santa Maria Maggiore, la “Betlemme dell’Occidente”: santuario di neve e di fede, primo trono mariano dell’Occidente, culla di pellegrini e di preghiere.

Un luogo dove il cielo ha posato il dito, dove si custodisce la Sacra Culla del Bambino e l’icona della Salus Populi Romani, che da secoli veglia sul destino della Città Eterna. Ed è proprio lì, in quel punto di incontro tra miracolo e memoria, che Papa Francesco - pellegrino tra gli ultimi, pastore dalle mani nude - ha chiesto di riposare. Non tra i fasti solenni di San Pietro, ma accanto alla Madre, nel grembo stesso della tenerezza mariana, dove il divino si fece carne e compassione. Un ritorno al principio, alla neve che cade d’agosto, alla fede che si fa luogo.

Una decisione già annunciata nel dicembre del 2023, con la disarmante semplicità che ha sempre contraddistinto Jorge Mario Bergoglio: ''La mia tomba è già pronta'', aveva detto in un’intervista a una giornalista messicana. Non tra le opulenze vaticane, non nelle sacre viscere di San Pietro dove riposano i suoi più recenti predecessori, ma nella “sua” Santa Maria Maggiore, quella che fu meta della prima visita da Pontefice la mattina del 14 marzo 2013, e di innumerevoli soste silenziose prima e dopo ogni viaggio apostolico. E prima tappa dopo le dimissioni dal Gemelli.

Lì, dove portò per la festa dell’Immacolata del 2023 una rosa d’oro, un dono pontificio che nessuno offriva da quattro secoli, ''per la mia grande devozione alla Madonna e a questa icona''.

Il sepolcro, sobrio e ascetico, rispecchia l’anima del suo pontificato: una lastra di marmo bianco di provenienza ligure, con incisa unicamente la parola FRANCISCUS e la riproduzione della croce pettorale che portò per dodici anni e trentanove giorni. Nessun decoro superfluo, nessuna vanità monumentale: solo pietra, nome e fede. Un’immagine, esposta nei giorni precedenti alla tumulazione, anticipa al mondo l’aspetto definitivo del suo eterno giaciglio, ancora protetto da un pannello di legno fino a domenica prossima. La tomba è stata preparata nel loculo della navata laterale della Basilica, tra la Cappella Sforza e quella Paolina, che custodisce l’amata Salus Populi Romani.

È un punto che non fu scelto a caso. La sua posizione, vicina all’altare di San Francesco, rievoca infatti quella spiritualità francescana che ha ispirato la vita e il nome stesso del Papa. Originariamente “opzionata” da un cardinale, questa piccola nicchia fu da lui ceduta senza esitazioni quando seppe del desiderio del Pontefice. Domani, giorno della sepoltura, il corpo di Francesco verrà avvolto in una casula rossa, simbolo di sacrificio e di lutto, con un rosario dai grani neri stretto tra le mani e un semplice anello d’argento. Il capo coperto dalla mitra bianca, a ricordare che, pur nella morte, egli resta pastore del gregge.

n’immagine intensa, che richiama la povertà evangelica dei primi cristiani, e insieme l’umiltà di un uomo che ha sempre rifiutato gli onori del trono. Bergoglio, però, non sarà il primo pontefice a trovare dimora in questa “Betlemme dell’Occidente”.

Prima di lui, in quella che fu la culla del culto mariano d’Europa, riposano i papi San Pio V, Sisto V, Clemente VIII, Paolo V Borghese, Clemente IX, e prima ancora santi, artisti e traduttori delle Sacre Scritture: Mattia, l’apostolo che prese il posto di Giuda; Girolamo, che rese la Bibbia accessibile ai latini; Pietro e Gian Lorenzo Bernini, artefici della bellezza eterna.

La Basilica stessa è un palinsesto di fede e storia. Costruita in epoca paleocristiana, ha conservato l’impianto originario attraverso i secoli. Le sue colonne romane, i mosaici bizantini, il soffitto dorato con l’oro delle Americhe donato dai Re Cattolici, tutto racconta un amore senza tempo per la Madre di Dio. Qui, nel VI secolo, giunsero le assi della mangiatoia di Betlemme, custodite in un reliquiario di cristallo progettato da Giuseppe Valadier nel 1802. Qui, nel 1538, celebrò la sua prima Messa Sant’Ignazio di Loyola, il fondatore dei Gesuiti, l’ordine cui Francesco appartenne con fervore e obbedienza.

La scelta di Francesco, dunque, non rompe una tradizione, ma la rinnova con la forza dell’autenticità. Non è una fuga dal Vaticano, ma un ritorno all’essenziale. Un abbraccio a Maria, cui ha sempre affidato le sorti della Chiesa e del mondo. Un messaggio silenzioso, ma potentissimo, che parla ai cuori ben più delle parole.

Così l’apparizione discreta, quasi timida, dello stemma pontificio sull’ingresso principale della Basilica, il giorno della morte: Franciscus, inciso in latino, come si incide un sigillo eterno nel tempo. Gli estremi della vita terrena - 1936–2025 - a racchiudere un’esistenza offerta al Padre, e sotto la preghiera antica che da secoli accompagna il passaggio: “Rerum aeterna dona ei, Domine, et lux perpetua luceat ei”, (“Dona a lui, o Signore, il riposo eterno, e risplenda su di lui la luce perpetua”). Che dunque quella luce lo accompagni nell’eternità, come un abbraccio che non conosce fine. E che la neve, anche solo nel ricordo, torni a cadere lieve sui cuori intorpiditi degli uomini di tutto il mondo, potenti in primis: una neve d’estate, impossibile e pur vera, come la fede che consola, come la speranza che non muore.

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