Non ci vogliono i grandi economisti per capire cosa sia accaduto all'Italia nelle ultime settimane: una specie di paralisi che ha colpito gli uffici pubblici, ma anche le aziende, in occasione delle varie festività, religiose e civili, che si sono concentrate tra fine aprile e quindi maggio. Per giorni e giorni, anzi settimane, il cartello (virtuale) ''chiuso per festività'' ha campeggiato ovunque, quasi che l'accavallarsi di date in rosso segnate sul calendario non abbia avuto conseguenze nella vita di ciascuno di noi.
Il Paese chiude per ferie: un lusso che non possiamo più permetterci
Perché, tra ponti e mini-ponti e ''ok, domani si chiude'', il contatore dei giorni senza lavoro è andato di corsa e, ormai, quando la Pasqua e il 25 aprile sono alle spalle, già si pensa a cosa (non) si farà questo fine settimane, quando giovedì si ricorderà la Festa del Lavoro e quindi il venerdì scivolerà via per preparare un nuovo ponte.
Si dirà che questo periodo è abbastanza casuale, perché non è che tutti gli anni la Pasqua cade a ridosso del 25 aprile e che, comunque, ne beneficia l'industria turistica, perché a conti fatti chiudere il Paese costa sei miliardi di euro al giorno.
Con la conseguente domanda: ma crediamo veramente di poterci permettere tutto questo, solo pensando che ben vengano le occasioni per mettere qualche giorno in fila da passare in vacanza o, spiaggiati sul divano, non avendo altro pensiero che riposare?
Non è economia da pensionati, quelli che, nell'accezione popolare, discutono tra di loro di tutto lo scibile umano non avendo altro da fare, ma la consapevolezza che è in momenti come questi che il Paese dovrebbe prendere coscienza che il rischio che si corre è quello di perdere terreno rispetto agli altri e, soprattutto, di non poterlo recuperare.
Perché, ma è solo l'ultimo degli esempi, se un imprenditore è in piena corsa contro il tempo per ottenere un finanziamento che gli consenta quegli investimenti necessari per la sopravvivenza della propria azienda e vede che l'ufficio governativo preposto è desolatamente chiuso per un ponte, per lui è un dramma. Ma non a parole, proprio di quelli veri, perché i soldi che gli servono nessun altro glieli può dare.
Può anche apparire banale, ma è forse in momenti come questo che chi ci governa dovrebbe mettere da parte la politica del ''vogliamoci tanto bene'' per chiedere che il Paese, mentre nubi oscure si addensano anche sul nostro futuro, faccia appello alla consapevolezza e, quindi, si impegni, nel senso di continuare a produrre e non decidere di fermarsi per giorni e giorni.
Di giorni, quest'anno, secondo i calcoli della Cgia di Mestre, ne lavoreremo 251, due in meno del 2024 e, questo, sia pure in linea teorica (ma fino ad un certo punto) costerà al Paese dodici miliardi di euro.
Troppi? Pochi? Questo lo vedremo più avanti, ma, dice la Cgia, si tratterebbe di impatto economico equivalente a quello che potremmo subire dall’eventuale introduzione dei dazi da parte dell’amministrazione Trump.
C'è però da fare una puntualizzazione: con i 251 giorni di lavoro all'anno per un totale di 1.734 ore (sono sempre dati della Cgia di Mestre) siamo quasi in cima alla graduatoria Ue, dietro Grecia (1.897), Polonia (1.803), Repubblica Ceca (1.766) ed Estonia (1.742). Se può servire, ricordiamo che in Francia sono 1.500 ore per occupato e in Germania 1.343. Ma sono dati secchi, che non tengono conto di un elemento fondamentale: noi abbiamo un tasso di occupazione tra i più bassi di tutta UE.
Ma, tornando a questo periodo di festività incollate una all'altra, non è che sia un problema esploso oggi, perché già nel 1977 il governo dell'epoca - presidente del consiglio era Giulio Andreotti - , pur sapendo di inimicarsi gran parte degli italiani, cancellò alcune festività religiose (l’Epifania, San Giuseppe, l’Ascensione, il Corpus Domini, San Giovanni e Paolo, San Francesco e anche altre) per evitare che incidessero troppo sulla macchina produttiva ed amministrativa del Paese.
Ma questo non basta. Secondo le elaborazione della CGIA, se - non abusando del ricorso ai ponti - fossimo in grado di recuperare una settimana di lavoro all’anno, guadagneremmo un punto di Pil che, in termini assoluti, ammonterebbe a circa 22 miliardi di euro.
Vi sembrano pochi?