Politica
Osservatorio politico - Lega e Cinque Stelle ad un bivio
Redazione
Non ci vuole una mente speculativa per leggere i numeri e fare confronti.
E i numeri dicono che le elezioni regionali in Emilia-Romagna e Umbria hanno due sconfitti su tutti, divisi tra i due schieramenti: la Lega e il movimento Cinque Stelle che, al di là delle dichiarazioni di prammatica, si trovano oggi davanti ad un bivio, che da un lato porta alla prosecuzione della loro linea politica parametrandola su quella attuale e, dall'altro, imbocca il percorso di un profondo cambiamento, di programma se non addirittura di leadership.
Ipotesi che, per ciò stesso, probabilmente saranno smentite da soluzioni che tengano conto di un sano pragmatismo, quello che dice che una poltrona, se ampia e comoda, non si lascia mai, a patto di sostituirla con un divano.
I volti di questa situazione sono quelli di Matteo Salvini e Giuseppe Conte che hanno avuto la stessa reazione al voto regionale, ammettendo la sconfitta, ma sino ad un certo punto, perché c'è sempre qualcuno su cui scaricare le colpe.
Salvini, davanti al tracollo in Emilia-Romagna (5,3% e un consigliere) e in Umbria (7,7% e un consigliere), ha puntato il dito contro i leghisti delle due regioni dicendo, questo il succo del suo pensiero, che i suoi proconsoli sul territorio non si sono impegnati per come il loro ruolo avrebbe imposto. Quindi, nessuna colpa per la Lega, ma solo per chi la rappresenta localmente.
Una spiegazione come un'altra, che però dovrebbe essere meglio elaborata, perché, nel caso dell'Emilia-Romagna, il mancato contributo dei maggiorenti del partito non spiega affatto come sia stato possibile passare da quasi il 32% della scorsa tornata con il misero 5,3% di oggi.
Andando contro ogni logica, comunque, Salvini continua a guidare il partito, nonostante la sconfitte elettorali in serie e delle quali, pur prendendone atto (come potrebbe fare il contrario?), cerca di scrollarsi di dosso ogni colpa.
Ma sino a quando potrà guidare il partito che non è più il monolite tanto celebrato?
Gli scricchiolii si avvertono e lo saranno di più quando, da qui a qualche mese, si dovrà ragionare, concretamente e non per proclami, su come presentarsi agli appuntamenti di Milano e in Veneto.
Se per Milano la partita sembra chiusa (difficilmente Meloni e Tajani accetteranno un candidato leghista, visto il progressivo calo di consensi della Lega), in Veneto - a meno che non venga a cadere la tagliola del divieto del terzo mandato - Luca Zaia dovrà passare la mano, con Fratelli d'Italia che reclama, a chiare lettere, il diritto a indicare il candidato. Creando, così, due problemi per Salvini, uno più grosso dell'altro.
Perché, se cede al pressing asfissiante di FdI, Salvini dovrà prendere atto della caduta dell'ultimo bastione del partito. Ma, soprattutto, si troverà irrisolto il caso Zaia e la sua futura collocazione nello scacchiere politico, locale o nazionale. L'eventualità di una candidatura a sindaco di Venezia, a essere onesti, sarebbe per Zaia un ridimensionamento, forse non un passo indietro, ma certamente un ruolo con una visibilità appena sufficiente.
Peraltro la Lega si trova ora in una condizione surreale, perché se siede nello stesso governo di Raffaele Fitto, non ne ha votato la nomina a vicepresidente esecutivo della Commissione europea, nel rispetto con il patto sottoscritto con il gruppo dei patrioti europei.
Una situazione confusa, ma non quanto quella in casa pentastellata dove ormai Giuseppe Conte è deciso ad andare fine in fondo della ridefinizione dei programmi, delle alleanze e, quindi, dei vertici del movimento.
Sabato e domenica i Cinque Stelle terranno la loro assemblea costituente che, a detta di Conte, dovrà ''rigenerarci, scuoterci, dare nuove idee al Movimento, riaccendendo l’entusiasmo e facendo sentire tutti protagonisti del nuovo percorso. Nessuno lo ha fatto con coraggio e umiltà, come stiamo facendo noi''.
Con una premessa, che il presidente ricollega alla Carta dei principi e dei valori che lui stesso ha elaborato e che definisce ''un manifesto progressista che marca una distanza netta da questa destra che persegue la frammentazione dell'Italia, la mordacchia ai giudici, l'abbattimento degli equilibri costituzionali con una chiara deriva autocratica''.
Una scelta di campo netta che dovrà essere metabolizzata da chi, nel movimento, rimpiange il tempo dei ''vaffa'', del ''noi contro tutti'' e del Parlamento da ''aprire come una scatola di tonno''.
Da chi insomma, nel movimento, persegue la linea delle mani libere, che però reca in sé insito il rischio dell'isolamento.