Politica
Osservatorio politico - Il centro-destra ferito guarda già a domani
di Demetrio Rodinò
Se, in un doppio appuntamento elettorale, si rimediano sconfitte, un'autocritica è necessaria, anche se con tempi, modi e prospettive che non sempre sono le stesse, parlando di coalizione, parlando del centro-destra che sugli appuntamenti in Emilia-Romagna e Umbria si era giocata tanto.
Non aveva fatto all in in termini di partecipazione alle campagne elettorali, ma si era impegnata. Però, come sempre più spesso sta accadendo, usando temi e, soprattutto, modalità e linguaggi diversi che non hanno mostrato la stessa efficacia.
Eppure le speranze di una conferma in Umbria (in Emilia-Romagna non c'è stata gara) erano tante, giocandosi alla vigilia la partita tra Stefania Proietti e Donatella Tesei sul filo di una manciata di voti. Non è andata esattamente così, perché il distacco che la candidata della sinistra ha messo tra sé e la sua antagonista - quasi cinque punti percentuali - è abbastanza ampio da certificare una vittoria netta.
Le cause della sconfitta in Umbria il centro-destra se le deve cercare in casa, non cadendo nel trito meccanismo di prendersela con gli altri. Innanzitutto la candidatura della leghista Donatella Tesei non è che fosse sta metabolizzata dal resto della compagnia, vuoi anche per le recenti nubi che si sono addensate su lei e la sua giunta per fondi regionali, destinati all'economia locale, assegnati tra gli altri ad una azienda di produzione di tartufi, di proprietà del marito di una assessora e nella quale è stato assunto il figlio del presidente regionale (Euroborsa ne ha già parlato, Regionali Umbria: sul voto aleggia il profumo di tartufo...).
Che questa vicenda, che non ha avuto problemi ulteriori per Tesei dopo la cancellazione del reato di abuso d'ufficio, possa avere inciso nel giudizio degli elettori è tutto da verificare. Non altrettanto si potrebbe dire per la situazione della sanità umbra, che tante polemiche ha determinato soprattutto per la redistribuzione sul territorio regionale dei presidi sanitari.
Certo qualcuno avrà anche fatto un paragone tra le due candidate, forse privilegiando Proietti e il suo curriculum: sindaco di Assisi, presidente della Provincia di Perugia, laurea in ingegneria industriale, cattolica e pacifista.
Ora bisognerà vedere come, tra e dentro i partiti della coalizione, verrà esaminata la sconfitta, che rimanda ad una campagna elettorale condotta con un diverso canone, in cui l'aggressività della Lega ha lasciato dietro Fratelli d'Italia e Forza Italia, sempre più calati nel ruolo di partiti di governo e non solo di lotta.
Che poi Salvini lotti solo seguendo la direzione che si è data, in cui gli avversari devono essere annientati e non solo sconfitti, è un'evidenza che certo non può essere andata giù a Giorgia Meloni e Antonio Tajani, spesso spiazzati dalle bordate lanciate ad alzo zero dal segretario leghista. Che invece forse dovrebbe interrogarsi sull'analisi del voto, anche per la sua localizzazione territoriale, e chiedersi il perché nelle zone maggiormente colpite dalle alluvioni il voto ha premiato il Pd (che guida la Regione) e non ha dato peso alle polemiche sulla gestione dei fondi.
Ora la partita riguarda le prossime tornate elettorali e tutto lascia pensare che stia per partire la corsa per accaparrarsi la candidatura più prestigiosa, quella alla presidenza della Regione Veneto, una volta finita l'era del doge Luca Zaia. La Lega considera il Veneto un gioiello della (sua) corona e mai sarebbe disposto a cederlo a chicchessia. Ma i numeri sono inequivocabili e il crollo verticale dei consensi della Lega anche nelle sue (presunte) roccaforti è il sintomo di una disaffezione dell'elettorato, che si è tradotto in un ridimensionamento brutale, quasi umiliante verso le scelte strategiche e di comunicazione di Matteo Salvini.
Se Fratelli d'Italia si aggiudicasse la poltrona di candidato in Veneto, con buone possibilità di guadagnarsi la vittoria (a meno che la sinistra non tiri fuori un nome veramente di peso), l'orizzonte politico di Matteo Salvini si accorcerebbe. Perché è difficile spiegare come, nonostante due anni da ministro delle Infrastrutture, i voti della Lega si siano molto, ma molto più che dimezzati.