In occasione della prima Mediobanca CSR Conference, intitolata "Migrazioni e inclusione, l’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati", che si tiene oggi a Milano, l'Area Studi Mediobanca ha presentato uno studio dedicato agli impatti economici delle migrazioni. L’approfondimento, dal titolo “Gli impatti economici delle migrazioni: problema o risorsa?”, esamina i dati relativi ai flussi migratori e alle loro conseguenze sociali ed economiche. A presentare lo studio è stato Gabriele Barbaresco, direttore dell'Area Studi Mediobanca (nella foto), con un intervento introduttivo a cura dell’amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel.
Migrazione: il contesto internazionale tra buone pratiche e condotte fallimentari
Il programma della giornata ha visto anche gli interventi di Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, e Chiara Cardoletti, rappresentante dell'UNHCR per l’Italia, la Santa Sede e San Marino, con un focus sulle politiche di integrazione dei minori non accompagnati. La giornata si è conclusa con una tavola rotonda che ha visto la partecipazione degli enti del Terzo Settore con cui il gruppo bancario collabora per promuovere l’inclusione sociale: tra questi, Erasmo Figini (Fondazione Cometa), Fra Marcello Longhi (Opera San Francesco per i Poveri), e Mariavittoria Rava (Fondazione Francesca Rava - NPH Italia ETS).
Il fenomeno migratorio, ormai una costante nelle politiche internazionali, presenta una molteplicità di facce e impatti che dipendono in gran parte dalle specifiche cause che determinano i flussi e dalle modalità di accoglienza e integrazione adottate dai Paesi di destinazione. Se da un lato l’emergere di fenomeni migratori è stato teorizzato dalle Nazioni Unite come un possibile antidoto ai fenomeni di invecchiamento della popolazione e calo demografico in molte economie sviluppate, dall’altro è chiaro che la sua gestione comporta sfide notevoli, soprattutto per quanto riguarda l’efficacia delle politiche di integrazione.
A partire dal 2000, il concetto di ‘replacement migration’ ha spinto molti governi a considerare la migrazione come una risorsa per fronteggiare le difficoltà demografiche. Tuttavia, un approccio puramente compensativo si è rivelato insufficiente, in quanto il fenomeno migratorio non è omogeneo e i suoi effetti variano in relazione alla natura dei migranti. I migranti economici, che cercano opportunità di lavoro, producono effetti differenziati rispetto ai rifugiati, ai migranti familiari o a gruppi vulnerabili come i minori non accompagnati. Le analisi dei flussi migratori in Europa negli ultimi dieci anni, per esempio, mostrano che, nelle principali economie dell'UE, come Italia, Francia e Germania, i permessi di soggiorno legati a motivi lavorativi rappresentano solo il 15% del totale, a fronte di un 40% destinato ai ricongiungimenti familiari. In contesti come quelli del Nord Europa, invece, i permessi di soggiorno per motivi di lavoro superano nettamente quelli per ricongiungimento, con percentuali che arrivano al 57%, contro il 14% per la componente familiare. Tale differenza impone a ciascun Paese una riflessione sulle politiche di accoglienza, che dovrebbero essere calibrate in modo da rispondere alle specificità di ogni flusso migratorio.
In termini economici, l’impatto della migrazione dipende sostanzialmente dalla qualità delle politiche di integrazione adottate. Le simulazioni condotte dal Fondo Monetario Internazionale indicano che l’integrazione dei migranti economici, attraverso misure che ne favoriscano l’ingresso nel mercato del lavoro, può contribuire significativamente all'incremento del PIL, con stime che parlano di un aumento medio dell'1% a cinque anni dal loro ingresso nel mercato del lavoro. Al contrario, l'integrazione dei rifugiati ha un impatto economico meno evidente, sebbene studi recenti suggeriscano che politiche mirate e ben strutturate potrebbero generare aumenti del PIL compresi tra lo 0,6% e l’1,3%, a fronte di un incremento marginale (+0,15%) con politiche più passivizzanti o inefficaci.
Le politiche di integrazione, dunque, rappresentano una risorsa fondamentale per la crescita economica, ma non sono prive di costi iniziali significativi, che devono essere sostenuti dai bilanci pubblici. Questi investimenti, che si traducono in risorse destinate a programmi sociali, linguistici e lavorativi, richiedono una visione di lungo periodo: i benefici reali si manifestano solo dopo un decennio. A fronte di ciò, i governi devono disporre di un ampio spazio di manovra fiscale e di un consenso politico in grado di sostenere un approccio orientato all’investimento, piuttosto che alla spesa immediata.
Alcuni Paesi europei, come quelli del Nord Europa, hanno saputo trarre vantaggio dalla migrazione, gestendo con efficacia i flussi migratori attraverso politiche di integrazione innovative e ben strutturate. In Germania, Danimarca e nei Paesi scandinavi, il successo di queste politiche ha comportato un ritorno economico tangibile, con impatti positivi non solo sul piano sociale, ma anche sulla competitività e sull’innovazione dei rispettivi sistemi economici.