Giuseppe Conte ha piazzato l'ennesimo colpo al progetto di una opposizione al governo e al centrodestra. E lo ha fatto scegliendo, quasi con perfidia, proprio ''Casa Meloni'', parlando, nel corso di Atreju, di alleanze future, possibili, ma che hanno una grossa sottolineatura: marceremo assieme solo a chi farà sue le battaglie dei Cinque Stelle.
Dalla maggioranza s'alza un grido: ''Lunga vita a Conte''
E, quindi, di fatto chiedendo al Partito democratico, che è la principale forza politica di opposizione, di farsi vassallo dei Cinque Stelle e, quindi, implicitamente, accettare lui, Giuseppe Conte, come capo della coalizione.
Non è che l'abbia detto chiaramente o in questi esatti termini, ma, se chiedi ai potenziali alleati di accettare solo la tua linea e quindi di mettere da parte i propri programmi, di fatto cancelli, alla nascita, la possibilità che si trovi un accordo per sbarrare la strada ad una nuova vittoria del centro-destra e magari impedire a Giorgia Meloni di cambiare residenza passando da un Palazzo all'altro di Roma, magari uno che guarda la città dal colle più alto.
La nuova sortita di Conte sorprende solo chi non ne abbia seguito le mosse e le strategia sin da quando, da perfetto sconosciuto, divenne presidente del Consiglio e, in questa veste, lui che si appella alla coerenza e alla matrice riformista dei Cinque Stelle, ha cambiato disinvoltamente alleati e addirittura fronti politici, facendo sembrare un apprendista Mao, quello che diceva che non importa il colore del gatto, l'importante è che mangi il topo.
Restando quindi all'evidenza, Conte, anche dal palco di Atreju, ha ripercorso la partitura della sua sonata, di cui è compositore ed esecutore, e che ha una sola nota: io, io, io.
Ma, al di là della granitica convinzione, ripetutamente espressa da Elly Schlein, che la sola strada da percorrere è quella di una intesa con tutti coloro che possano dare vita ad una seria alternativa al centrodestra, dentro il Partito democratico si manifesta, con sempre maggiore frequenza, ma soprattutto più apertamente, l'insofferenza verso un (presunto) alleato che dà a sé il merito delle cose buone, trovando sempre in altri le responsabilità, se vanno male.
Quindi, uscendo fuori di metafora, la vittoria alla regionali sarde e campane, che hanno visto la vittoria di Todde e Fico, grillini, sono state merito dei Cinque Stelle, al di là dell'evidenza che i numeri dicono ben altro, e cioè che senza il Pd sarebbe stato un massacro elettorale.
Ma questo è un discorso relativo, perché per Giuseppe Conte l'importante è accreditarsi come player del grande gioco della politica, saltellando da una posizione all'altra, pur di restare l'attore principale di una compagnia di guitti e quindi muovendosi, nelle sue esternazioni, tra affermazioni che dicono tutto, ma che poi modifica in corso d'opera, sostenendo l'esatto contrario. Come nel caso della posizione dell'Italia verso la guerra in Ucraina.
In questo, però, a Conte una grossa mano l'ha data la segretaria democratica, che non sempre c'azzecca nelle sue scelte. Come quella di regalare cartucce caricate a pallettoni sia a Giorgia Meloni, che ad Antonio Conte nel momento in cui ha deciso di disertare il palco di Atreju. Ora se fino a un po' di tempo fa si potevano accreditare questi infortuni alla relativa esperienza ad alti livelli della politica di Schlein, oggi non è più da considerare un peccato veniale se fugge dal confronto, non calcolandone le conseguenze.