Keep calm e sorridi, keep calm e guida piano, keep calm e stai a casa (famoso nel primo lockdown), keep calm e bevi una birra, keep calm e qui comanda il gatto… e potremmo continuare all’infinito.
Keep calm: dall'invito a resistere alla guerra ai meme
Un invito collettivo alla calma, quel prezioso antidoto allo stress di cui, forse, mai come oggi, sentiamo il bisogno. Perché in un mondo che corre tra notifiche, scadenze e catastrofi quotidiane, fermarci un attimo, prendere fiato e ritrovare un ritmo umano è a dir poco vitale. Perché la calma non è rassegnazione, ma respiro; non è immobilità, ma consapevolezza. E forse, solo imparando a rallentare, possiamo capire davvero dove vogliamo andare.
Ed è curioso pensare che queste parole, così moderne eppure così antiche, abbiano avuto origine in un contesto di guerra, con l’obiettivo di sostenere uno spirito nazionale sotto la minaccia di bombardamenti e caos.
Commissionato nel 1939 dal Ministero dell’Informazione britannico come parte di una serie di tre manifesti pensati per risollevare il morale pubblico, “Keep Calm and Carry On” non fu mai ufficialmente diffuso e rimase esposto solo raramente.
Alla vigilia della guerra, era ampiamente accettato che i bombardamenti avrebbero portato al rapido e completo collasso della società”, spiega alla BBC Daniel Cowling, storico senior presso il National Army Museum di Londra. “Keep Calm and Carry On fu designato come risposta specifica alle conseguenze della guerra. Faceva leva sugli stereotipi dello stoicismo britannico nella speranza di ristabilire l’ordine nel caos previsto”.
Gli altri due manifesti della serie, che recitavano “Il tuo coraggio, la tua allegria, la tua determinazione ci porteranno la vittoria” e “La libertà è in pericolo. Difendila con tutte le tue forze”, furono esposti in stazioni ferroviarie, fabbriche e vetrine, ottenendo però solo una tiepida risposta. I civili britannici, sottoposti a bombardamenti pesanti, risposero con resilienza e solidarietà, e il manifesto principale avrebbe potuto apparire paternalistico, secondo Cowling.
Disegnato dall’illustratore Ernest Wallcousins e stampato in circa 2,5 milioni di copie, il poster fu in gran parte trattenuto e molte copie furono mandate al macero per conservare carta destinata allo sforzo bellico.
Alcune sopravvissero, nascoste negli archivi, fino a riemergere nella libreria di Barter Books.
Stuart e Mary Manley, i proprietari, raccontano alla BBC: “Decidemmo di incorniciarlo e di appenderlo in libreria. Non avevamo idea di cosa sarebbe diventato. Mary era restia all’idea di farne stampare delle copie, quindi dovetti farle stampare di nascosto. Il successo delle copie le fece presto cambiare idea”.
Il manifesto rimase inizialmente una curiosità locale, fino al 2005, quando la giornalista Susie Steiner del Guardian lo incluse nei suoi dieci oggetti di design preferiti. Da allora, le vendite si espansero globalmente, trasformando il manifesto in un simbolo di stoicismo britannico, pronto a essere ironicamente reinterpretato in mille modi.
“Penso che abbia avuto un impatto così forte perché incarna perfettamente la memoria popolare dominante della guerra nella Gran Bretagna moderna; quella che fu il ‘momento migliore’ del Paese, un’epoca in cui le persone andarono avanti stoicamente contro avversità che potevano sembrare schiaccianti”, spiega Lucy Noakes, professoressa di Storia Moderna all’Università dell’Essex.
Katy Parry, professoressa di Media e Comunicazione all’Università di Leeds, aggiunge: “Sebbene lo slogan possa essere associato allo stoicismo britannico, si tratta più specificamente di un’associazione visiva con l’Inghilterra. Fa parte di una mitizzazione nazionale dello spirito bellico che continua a plasmare gran parte della nostra memoria e identità culturale”.
Oggi quel poster non è più soltanto un ricordo di un’epoca lontana: è diventato un simbolo che vive e respira nel presente, un meme globale, un oggetto da collezione, un mantra silenzioso che ciascuno può fare proprio, una cornice per l’ironia e la parodia. Il suo messaggio originario di calma e resilienza si è trasformato, talvolta sovvertito, talvolta reinterpretato: “I manifestanti hanno sovvertito il messaggio propagandistico originale, adattandolo a nuove situazioni e nuove sfide sociali”, osserva Parry.
Cinque parole bianche, nette, su un rosso che urla attenzione, sormontate da una corona, e la magia è fatta: un’immagine semplice che ha attraversato decenni, guerre, crisi e rivoluzioni digitali senza perdere forza, pronta a rinnovarsi in un mondo che corre troppo veloce. Il poster si moltiplica, si riflette, si distorce, si scherza su di esso e con esso; diventa merchandising, meme, manifesto di protesta, oggetto di infinita reinterpretazione. Non tutti accolgono questa proliferazione con favore: c’è chi vi vede superficialità, chi vi legge un eccesso di gioco sul dolore, chi un’ombra di elitismo. Eppure, come osserva Jonathan Barnbrook, grafico e tipografo britannico, alla BBC, “Trasformare il dolore in gioco, o l’angoscia in comprensione, ci aiuta a entrare in contatto gli uni con gli altri”.
Ed è proprio in questo spazio sospeso, tra leggerezza e profondità, tra ironia e serietà, che il manifesto rivela la sua vera forza: un messaggio semplice, capace di attraversare la storia, di farsi carne di nuove generazioni, e di offrire un’oasi di calma in mezzo al frastuono del mondo. Perché la calma, in fondo, non è solo una virtù da coltivare. Non è quiete, ma uno spazio di consapevolezza, un momento in cui possiamo osservare senza giudizio quel filo sottile che ci lega tutti e ci ricorda chi siamo e chi vogliamo diventare.