Cultura

Addio a Gianni Berengo Gardin, maestro della “vera fotografia”

Samantha De Martin
 
Addio a Gianni Berengo Gardin, maestro della “vera fotografia”

FOTO (Cropped): Gianni Berengo Gardin, Lo studio, 1993, stampa ai sali d'argento, Archivio Gianni Berengo Gardin, Milano © 2025 Gianni Berengo Gardin / Fondazione Forma per la Fotografia / Contrasto

“Il fotografo dell’uomo”. Lo chiamava così il suo illustre amico Sebastião Salgado. E come il suo collega, anche Gianni Berengo Gardin se n’è andato in questo 2025, a tre mesi di distanza, chissà con quante foto in testa ancora da scattare.

Perché “Se si è veramente fotografi si scatta sempre, anche senza rullino, anche senza macchina”. In queste parole il fotografo nato 94 anni fa a Santa Margherita Ligure, ma veneziano di adozione

(“i nonni erano veneziani, i bisnonni veneziani, papà venezianissimo”) riassumeva il suo essere artista dell'obiettivo. Una missione, più che un ruolo, onorato con oltre settant'anni di carriera, tra fabbriche, cantieri, ospedali psichiatrici, con oltre 350 mostre personali in tutto il mondo.

L’ultimo appuntamento, in ordine di tempo, è in corso a Perugia, alla Galleria Nazionale dell'Umbria, fino al 28 settembre, e raccoglie 21 dei più significativi scatti realizzati da Berengo Gardin nel 1993, quando viene chiamato per documentare i luoghi dove ha lavorato Giorgio Morandi in occasione dell’apertura a Palazzo d’Accursio, a Bologna, del Museo Morandi.

A Milano, presso Leica Galerie, si è invece da poco conclusa la mostra Gianni Berengo Gardin / Roselena Ramistella. In conversation. Un dialogo fotografico tra ieri e oggi attraverso 40 immagini che connettono due visioni: quella di Gianni Berengo Gardin e quella di Roselena Ramistella, artista profondamente contemporanea, che parla invece di un’Italia interiore, frammentata, fatta di attese, corpi e paesaggi che raccontano identità complesse e stratificate.

Ma non chiamatelo artista. La sua vuol essere una fotografia di documentazione. Nemico numero uno di Photoshop in quanto divulgatore di fotografie taroccate (“dovrebbero proibirlo per legge” affermava) ebbe una svolta proprio grazie alla Magnum (anche se indirettamente), di cui Cartier Bresson fu fondatore. All'inizio degli anni Sessanta del Novecento un suo parente americano lo aveva messo in contatto con Cornell Capa (fratello di Robert), che aveva fatto avere alcuni libri di fotografia. Avendo già due figli e un lavoro sicuro, aveva chiesto all'amico Romeo Martinez, direttore della prestigiosa rivista Camera, spesso in visita a Venezia, cosa ne pensasse di diventare fotografo professionista. Scelse di seguire le orme dei grandi fotografi di Life e Magnum, raccontando la società con gli occhi di un artigiano votato all'impegno sociale. Pochi anni dopo l’incontro con un editore lo fece entrare nel mondo del foto-giornalismo. Da lì ebbe inizio una carriera da fotografo professionista.

Nel 1954 le sue prime foto ne Il Mondo di Mario Pannunzio. In seguito la collaborazione con le maggiori testate nazionali e internazionali, come Domus, Epoca, Le Figaro, L'Espresso, Time, Stern.

“Il colore distrae dal soggetto. Il bianco e nero è molto più fedele alla realtà che il colore. […] Io sono nato con la televisione in bianco e nero, il cinema in bianco e nero, tutti dico tutti i miei grandi maestri, da Cartier-Bresson a William Klein, da Elliott Erwitt a Robert Frank, erano tutti fotografi di bianco e nero. I libri che io ho visto e da cui ho imparato a fotografare, erano di fotografi di bianco e nero” ripeteva spesso il fotografo. Ed è proprio il bianco e nero che, combinandosi magistralmente, campeggia negli scatti selezionati nel suo archivio, che conta circa due milioni di fotografie.

Tra i più celebri, Vaporetto a Venezia, il Lido fino alle grandi navi in laguna (“In laguna c’è una legge che impedisce di costruire palazzi oltre i quattro piani, eppure non c’è una legge che impedisca di far passare fra queste case quelle navi che sono il doppio di Palazzo Ducale” diceva).

Narratore del reale, Berengo Gardin fotografa per raccontare.

La sua produzione artistica spazia dal reportage d’indagine sociale alla fotografia industriale (celebri le collaborazioni con Olivetti, Alfa Romeo, IBM e Italsider) e dal paesaggio all’architettura, quest’ultima omaggiata nella decennale collaborazione con Renzo Piano.

Gli scatti dedicati agli ospedali psichiatrici, pubblicati nel ’68 all’interno di un volume a cura di Franco Basaglia e Franca Ongaro Basaglia sono immagini di denuncia straordinarie e terribili che documentando per la prima volta le condizioni dei pazienti psichiatrici di tutta Italia e che hanno contribuito all’approvazione della legge 180 per la chiusura dei manicomi.

Ed ecco susseguirsi le grandi città e i borghi rurali, il terremoto dell’Aquila e i protagonisti della cultura, da Peggy Guggenheim a Luigi Nono, da Dino Buzzati a Mario Soldati, con un occhio a realtà dimenticate come quella dei Rom, alla cui cultura il fotografo si accosta con curiosità ed empatia per ritrarre momenti intimi o corali.

“Premio Scanno” del 1981, del “Prix Brassaï” del 1990, del “Leica Oskard Barnack Award” del 1995 e del “Lucie Award” alla carriera del 2008, solo per citare alcuni riconoscimenti ricevuti, il maestro conta alcuni lavori anche presso il MoMa di New York, la Bibliothèque Nationale de France e la Maison Européenne de la Photographie di Parigi.

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