Attualità
Il senso dell'Italia per la Giustizia: assassini a casa per Natale, assolti malati che andavano al piano bar
Redazione
Forse sarebbe il caso che il ministro Nordio, prima che minacciare ispezioni per quelle procure che non si adeguano al pensiero e alle opere del governo, attivasse i suoi poteri per capire quello che sta accadendo alla Giustizia italiana, che sembra andare a due diverse velocità: elevatissima per quei fatti e quindi processi che calamitano l'attenzione mediatica; lentissima, quasi andando all'indietro, per vicende che non sono meno importanti, riguardando la quotidianità e la percezione che ne ha la gente.
Perché, per chi non è giurista o solo lettore delle pagine di cronaca, è ben difficile capire il senso di un pronunciamento della Cassazione che ha dato ragione ad un dipendente della Cotral (azienda del trasporto pubblico del Lazio) che aveva chiesto la revoca del provvedimento con cui, nel 2020, era stato licenziato poiché, in un periodo in cui era in malattia, la sera andava a cantare, pagato, nei piano bar.
Il licenziamento non aveva visto d'accordo i giudici, sia di primo grado che in appello, che avevano dato ragione al dipendente. Stesso giudizio da parte della Cassazione, secondo cui se un dipendente in malattia rispetta le fasce orarie in cui può essere soggetto a visite fiscali, nel resto della giornata può fare quel che vuole. Anche andare a cantare per locali. D'altra parte, la malattia addotta dal dipendente per non andare a lavorare è di quelle che non hanno evidenze fisiche, afferendo ad uno stato d'ansia.
Dovrebbe indurre a particolari riflessioni la considerazione fatta dalla Corte d'appello che, come riferisce Il Messaggero, sostenne che ''avendo riguardo alla patologia da cui era affetto il lavoratore (ansia), l'impegno in attività ricreative non configurava in sé un comportamento incompatibile con la dichiarata condizione depressiva, anzi poteva giovare alla guarigione'', lanciandosi in una considerazione che forse sarebbe stato meglio lasciare agli esperti.
Ma oggi bisogna occuparsi anche di altro, di un caso umanamente più sconvolgente. Almeno per i genitori di Sofia Stefani, 33 anni, ex vigilessa urbana, uccisa con un colpo di pistola da quello che sino a poco tempo prima era il suo comandante, ma al quale era stata legata da una tormentata relazione sentimentale, Giampiero Gualandi, 63 anni.
Il 16 maggio dello scorso anno, nell'ufficio di Gualandi, si presentò Sofia Stefani, che non aveva accettato la fine della relazione. Mentre erano soli nell'ufficio dalla pistola di Gualandi partì un colpo, che, raggiungendo la donna appena sotto l'occhio, la uccise. Lui disse che il colpo era partito accidentalmente, ma non è stato creduto dal pm, che gli ha contestato l'omicidio volontario aggravato dalla premeditazione.
Oggi si scopre che, nonostante la gravità della vicenda, già per due volte era stato concesso a Gualandi il beneficio della detenzione domiciliare. La prima volta, il 21 ottobre, la disposizione non era stata eseguita, per la mancata notifica ai familiari della vittima; la seconda, il 2 dicembre è stata subordinata all'applicazione all'imputato del braccialetto elettronico, non sussistendo il pericolo di fuga o inquinamento delle prove, riconoscendo invece quello della reiterazione del reato.
Bene, apparentemente tutto chiaro. Ma le decisioni dei giudici non possono non indurre a porsi degli interrogativi, relativi al fatto che la Giustizia in Italia segue percorsi che, ineccepibili dal punto di vista formale, danno l'immagine di qualcosa che viene gestito caso per caso, quasi fossimo in un Paese che adotta il common law e non invece codici.
C'è un'evidenza: Giampiero Gualandi ha ucciso usando una pistola - quella di ordinanza - che non doveva trovarsi sulla sua scrivania e che lui ha puntato contro la ex amante. Per il pm, tutto era premeditato, anche la scena che i primi ad entrare nell'ufficio si sono trovati davanti e che potrebbe essere stata alterata per accreditare la tesi dell'accidentalità. Ma se si accusa Gualandi di omicidio volontario, con l'aggravante della premeditazione, come si può concedergli i domiciliari, come se avesse venduto un grammo di eroina o avesse rubato una bottiglia di birra?
O si sono fatti ragionamenti, magari condizionati dal fatto che, sino alla morte di Sofia Stefani, Gualandi era stato il classico brav'uomo? Se Gualandi ha organizzato tutto, in cosa si differenzia da chi, ragazzino, uccide un altro giovane a coltellate per un apprezzamento di troppo o per avere avuto sporcata involontariamente una scarpa, come raccontano recenti dolorosi episodi accaduti in Campania?
Gualandi dovrebbe essere ancora in carcere perché al momento non ci sono braccialetti elettronici disponibili. Ma, via, con un piccolo sforzo, potrebbe passare in Natale a casa, con moglie e il resto della famiglia. In fondo è solo accusato di avere spezzato una vita. Cosa sarà mai?