Cultura

Eve Arnold, torna in libreria il suo sguardo su Marilyn

Barbara Bizzarri
 

Fiumi di inchiostro sono stati versati per la stella più luminosa di Hollywood: Marilyn Monroe ha ispirato biografi, romanzieri, cantanti e artisti in ogni epoca da quando è apparsa sullo schermo. Libri, pitture, foto, installazioni: il volto di Marilyn è parte ormai dell’immaginario collettivo così come la sua storia, giocata con le carte peggiori che si possano ricevere in sorte: povera, orfana, sola, abusata, destinata a chissà quale vita mediocre nella Valley se non avesse cercato il cinema con tutte le sue forze e il cinema non l’avesse poi amata da subito rendendola immortale nonostante una morte precoce e ancora avvolta dal mistero.

Eve Arnold, torna in libreria il suo sguardo su Marilyn

Ora un nuovo libro, Marilyn Monroe, di Eve Arnold, prima donna a essere ammessa nella celebre agenzia Magnum Photo, restituisce alle stampe l’immagine più luminosa di Marilyn, quella che si accendeva dinanzi a qualsiasi obiettivo, che fosse di una macchina fotografica o di una cinepresa, rivelando in lei quella star quality che, secondo le testimonianze, la abbandonava lentamente a riflettori spenti. Nella sua collezione di immagini Arnold ha catturato anche l'insicurezza e il dolore, la dualità tra Norma Jeane e la star amatissima dal pubblico, che Marilyn vive quasi come un doppelgänger: "Vuoi che io sia lei?", chiedeva a un amico, mentre passeggiano lungo la Fifth Avenue un giorno degli anni '50, in mezzo a una folla che non l’ha riconosciuta. "Guarda", dice la star togliendosi il foulard che le avvolgeva il collo: “Aprì l'impermeabile, sporse il petto e indossò The Walk”, la sua famosa camminata che aveva conquistato persino Groucho Marx, immortalata nel film “A qualcuno piace caldo” quando Sugar Kane ondeggia sulla banchina della stazione per andare a prendere il treno e cambiare di lì a poco il suo destino. “Nel giro di pochi secondi, fu circondata da un gruppo di fan eccitati che chiedevano a gran voce il suo autografo”, ricordava l’amico di Marilyn, personaggio creato per sedurre, non per convincere.

Quando, nei primi anni '50, Monroe vide un servizio fotografico di Eve Arnold che ritraeva Marlene Dietrich sulla rivista Esquire, le piacque. Incontrò la fotografa a New York, città che amava molto più di Los Angeles, a una festa data da John Huston al 21 Club, le disse: "Se sei riuscita a fare così bene con Marlene, puoi immaginare cosa potresti fare con me?". Arnold sarebbe diventata, in seguito, la fotografa semi-ufficiale di Monroe, che la volle con sé anche per l’intera durata della lavorazione di The Misfits e si rese conto immediatamente dell’importanza che la fotografia avesse per Marilyn: aveva esordito come modella per la Blue Book Agency ed era stata quell’occasione a traghettarla lontano da orfanatrofi, famiglie affidatarie e gli istituti psichiatrici cui la madre biologica veniva affidata a scadenze regolari.

Proprio perché ne conosceva l’importanza, Marilyn era inflessibile quando si trattava delle immagini che avrebbe permesso di stampare: poneva il veto a uno scatto dopo l'altro se non raggiungevano i suoi standard di glamour e magnificenza. "Era veloce e perspicace", ammise Arnold, "ascoltava quando le spiegavo perché una certa immagine o situazione era necessaria, e concordava se era convinta. Altrimenti, ci battevamo finché una o l'altra non si tirava indietro".

Marilyn sapeva fin dall'inizio quanto la fotografia sarebbe stata essenziale per il suo successo: le riviste fotografiche degli anni Cinquanta e Sessanta vendevano milioni di copie. Quando conobbe Eve Arnold era una star decisa a mantenere il suo potere attraverso la suggestione delle immagini: alcune fotografie sono tenere e intime, altre catturano, come solo la macchina fotografica può fare, l'insicurezza dietro l’aura del mito. In Arnold, sia Marilyn Monroe che Norma Jeane Baker si riuniscono nelle foto più belle mai scattate a entrambe. Come ha detto Arnold: “Non ho mai conosciuto nessuno che si avvicinasse a Marilyn per la naturale capacità di usare sia il fotografo che la macchina fotografica. Era speciale in questo e per me non c'è stata nessuna come lei, prima e dopo. Lei è rimasta il metro con cui ho, inconsciamente, giudicato gli altri”.

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