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La dolce stupidità

Barbara Leone
 
La dolce stupidità

"Conchiglie di cioccolato, così piccole, così semplici, così innocenti. Pensai, oh, solo un piccolo assaggio, non può fare niente di male. Ma poi scoprii che erano ripiene di ricco, peccaminoso... E si scioglie… Dio mi perdoni, si scioglie così lentamente sulla lingua e ti riempie di piacere!".
Questa frase timidamente bisbigliata fra le pieghe dell’incantevole film "Chocolat" incarna alla perfezione l’atavico binomio tra cioccolato e desiderio. Perché, lo sappiamo tutti, il cioccolato non è solo un alimento.

La dolce stupidità

È una carezza proibita, una promessa sussurrata, seduzione liquida, il sospiro di un piacere primordiale che dalla notte dei tempi avvolge i sensi scuotendo anima e corpo con la sua dolce intensità.
C’è infatti qualcosa di squisitamente osceno nella morbida voluttà di una ganache che si scioglie in bocca, nell’aroma caldo e profondo che precede il primo morso, in quell’impercettibile fremito che ci attraversa quando il cacao si dissolve, lasciando una scia di pura estasi. Vellutato e sensuale, peccaminoso e liberatorio, il cioccolato è un bacio furtivo, un amplesso gustativo cui nessuno può resistere.
Una tentazione a cui nei secoli hanno ceduto regine, artisti e poeti, stregati dal suo fascino irresistibile.

E così se Maria Teresa d'Austria ne faceva un pegno d’amore infilando sottili scaglie di cioccolato nelle lettere indirizzate a Luigi XIV, madame de Pompadour, l’affascinante favorita di Luigi XV, lo sorseggiava caldo e speziato, persuasa che accendesse il desiderio.

Per Napoleone, invece, era una riserva di energia e conforto: ne portava con sé scorte nei campi di battaglia, certo che avrebbe rinvigorito i suoi soldati. Mentre Winston Churchill prediligeva il gusto intenso e fondente preferibilmente in accoppiata ad un buon whisky. E forse non è un caso se, durante la Seconda Guerra Mondiale, gli inglesi realizzarono una bomba camuffata da barretta di cioccolato progettata per assassinare Hitler.
Fra gli artisti, Baudelaire lo celebrava come una droga dell’anima capace di trasportare oltre il reale, mentre Honoré de Balzac, instancabile nella sua ricerca di ispirazione, ne consumava quantità smodate arrivando a bere fino a cinquanta tazze di cioccolata calda al giorno per sostenere le sue febbrili notti di scrittura.

E come dimenticare Casanova, maestro d’amore e seduzione, che lo offriva alle sue amanti, certo che il suo potere fosse più efficace del vino…
Secoli di storia e raffinatezza rasi al suolo oggi dall’ennesima baggianata social: la Dubai Chocolate.
Ovvero, l’ultimo (ma solo in ordine di tempo) oggetto del desiderio per coloro che, dopo aver idolatrato i Nutella Biscuits (ora ridotti a noiosa merce da scaffale), si accalcano come mandrie di forsennati davanti agli scaffali della Lidl. Perché? Perché TikTok, divinità moderna, ha deciso così.

Ma cosa ha di speciale questa tavoletta? In apparenza, nulla di così epocale: 122 grammi di cioccolato al latte, crema al pistacchio e kadayif croccante, ovvero quella pasta di fili sottili che si trova nei dolci mediorientali.
Tradotto: un Ferrero Rocher con velleità esotiche. Una combinazione interessante, certo, ma che nel vastissimo panorama della pasticceria italiana non rappresenta certo un miracolo gastronomico. Eppure, bastano pochi video virali e il marketing diventa isteria collettiva.

Perché la vera magia non è il gusto, ma la mistica che gli gira attorno: la scarsità creata ad arte, la foga dell’acquisto compulsivo, il bisogno primitivo di appartenere al gruppo di eletti che sono riusciti ad accaparrarsene una tavoletta prima della carestia. E così, mentre gli scaffali si svuotano, la Lidl si sfrega le mani e ringrazia TikTok e social vari per la pubblicità gratuita.
I più scaltri, invece, vanno su YouTube e cercano le ricette per farsela in casa: bastano un po' di pistacchio, qualche filo di kadayif e una tavoletta di cioccolato qualunque.

Il risultato? Lo stesso, ma senza la soddisfazione di sentirsi parte di un movimento epico di consumatori idioti che litigano per l’ultima tavoletta come se stessero difendendo una razione di cibo in tempo di guerra.
E qui arriva la parte più esilarante: il mercato nero del cioccolato. Sì, perché non appena la domanda supera l’offerta, si scatena la solita dinamica da bagarini, in questo caso della dolcezza. La tavoletta scompare dai negozi e riappare, magicamente, online. Su eBay, Vinted e altre piattaforme si trovano inserzioni che vendono il Dubai Chocolate a cifre da collezionisti d’arte: 10, 15, persino 20 euro per una tavoletta il cui prezzo iniziale è di 3 euro e 99 centesimi.

Un ricarico del 150% su un prodotto che, fino a un attimo prima, nessuno sapeva nemmeno esistesse. E che in un nanosecondo diventa oggetto di culto, un trofeo da esibire su Instagram con la stessa fierezza con cui si mostrerebbe un orologio di lusso. Il che, diciamolo, è a dir poco demenziale.

Perché, mentre orde di consumatori disposti a tutto per un pezzo di cioccolato esotico, si accapigliano, il vero cioccolato, quello autentico, quello che racconta storie di tradizione e maestria artigianale, resta serenamente nei suoi scaffali, ignorato dagli stessi individui che si proclamano amanti di questa prelibatezza.

Penso al cioccolato di Modica, lavorato con una tecnica azteca vecchia di secoli, o al gianduia, nato dall’ingegno piemontese, sino cioccolato fondente di altissima qualità di tale o talaltra marca che non ha bisogno di TikTok per dimostrare il suo valore.
E pensare che la Dubai Chocolate non è neanche una novità. Già lo scorso anno girava nei Paesi arabi e il celebre pasticcere Ernst Knam l’aveva reinterpretata in una versione meneghina, con cioccolato fondente e kadayif al pistacchio.

Ma si sa, la folla non segue la qualità: segue la moda, quella che ha reso miliardari produttori di caffè decorato con oro 24 carati e ristoratori che servono piatti instagrammabili più che commestibili. Oggi è la Dubai Chocolate, domani sarà un croissant al tartufo rosa o un biscotto ricoperto di caviale vegano. Perché nulla può fermare l’influenza dei social, che hanno trasformato il cibo in un accessorio di moda. Col risultato che oggi non si mangia per gusto, si mangia per trend. Non si cerca la qualità, ma la viralità. Non importa se un prodotto sia realmente straordinario: conta solo se è introvabile, se può essere rivenduto, se può far accumulare like e visualizzazioni. Il gusto? Quello è secondario. La raffinatezza? Un concetto obsoleto.

La verità è che la moda non la creano gli influencer. La moda la creano gli stolti che li seguono. Sono loro che alimentano questa follia, che trasformano una banale tavoletta di cioccolato in un feticcio, che fanno file chilometriche e sborsano cifre assurde per un prodotto la cui unica vera qualità è la sua scarsità indotta artificialmente.
Gente che compra il Dubai Chocolate solo per sentirsi parte del club, per poter dire: “Ce l’ho anch’io”. E che, tra qualche mese, lo dimenticherà, esattamente come è successo con i Nutella Biscuits, i Macaron di Ladurée, i gelati Algida “limited edition”, le Oreo rosa, e via dicendo.

Ma forse il punto è proprio questo: viviamo in un’epoca in cui il desiderio stesso è diventato una merce, e il piacere si misura in visualizzazioni e like. Non importa se qualcosa sia davvero straordinario: basta che sia raro, esclusivo, difficile da ottenere. E così eccoci qui, a rincorrere una tavoletta di cioccolato come fosse il Santo Graal, mentre la vera gioia, quella che accarezza i sensi e lascia il segno, magari è proprio sotto il nostro naso.

Tags: cibo, dolce
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