Il diritto all'oblio, in un'epoca in cui la Rete comunque non cancella nulla, è una aspirazione legittima per chi ha sbagliato, ha pagato e quindi espiato la condanna che gli è stata inflitta. E' la ricerca di cadere nell'anonimato, chiedendo di potere essere dimenticato e, quindi, cercare di riprendere una vita normale, senza correre il rischio di essere additato per ''quello che...''.
De Lorenzo torna ad incassare, con tanto di arretrati, il vitalizio che gli era stato revocato
Ma c'è chi non s'accontenta del fatto di non essere più nella memoria collettiva, perché, pagato il suo debito con la giustizia, chiede di tornare ad essere una persona e non più il numero di una statistica, come quella dei politici, ad ogni livello, che, nella tempestosa stagione dei processi per corruzione, negli anni '90, decapitò la Casta.
Non tutta, ma quella parte che, muovendosi con furbizia, scansò il carcere. Sorte non toccata a Francesco De Lorenzo che, da ministro della Sanità, fu accusato di essersi messo in tasca, per cortese pensiero di alcune aziende farmaceutiche, sette miliardi di lire. Con le quali, all'epoca, ti compravi un palazzo e anche molto bello. Magari nel cuore di Napoli, città di cui De Lorenzo era una delle menti politiche più fini. Eppure fu condannato a qualche anno di galera e per lui, con il processo e la condanna, si aprirono le porte del carcere.
Una vicenda che fece clamore, oltre che per il profilo nazionale di De Lorenzo, anche perché dimostrò un teorema indimostrabile: i politici, quando arrivano in cima, diventano marci. Era quel momento storico in cui alcuni pm vestirono i panni dei fustigatori del malaffare. Che era, in fondo, nient'altro che il loro compito, ma che per qualcuno divenne una crociata, dove i Luoghi Santi non erano in Palestina, ma nelle sedi di partito, dove si tessevano trame a colpi di mazzette.
In tanti - non tutti - pubblici ministeri spararono nel mucchio, e le croci in ricordo di suicidi sul loro cammino lo testimoniano. Ma non è stato il caso di De Lorenzo di cui, negli ultimi anni, poco e nulla si è parlato se non quando ha chiesto che, a seguito della sua riabilitazione, disposta da un tribunale, gli venisse riconcesso il vitalizio da ex parlamentare.
Una richiesta comprensibile sia dal punto di vista pratico (sempre soldi sono), ma anche morale, volendo ufficialmente chiudere un capitolo della sua vita passata.
Quindi, una istanza umanamente accettabile, così come, in fondo, ci può stare anche il fatto che l'Ufficio di presidenza della Camera abbia votato per il suo accoglimento, forse non considerando come la notizia avrebbe potuto creare sconcerto, almeno in quella parte dell'opinione pubblica che, con qualche anno sulle spalle, ricorda le proteste di piazza contro i corrotti.
Se poi si guarda al fatto che la richiesta di De Lorenzo sia stata accolta all'unanimità lo sconcerto di cui sopra aumenta perché a dire sì sono stati anche i rappresentanti di quel movimento, fattosi partito, che la Casta la mandava cordialmente a quel Paese, con un linguaggio greve, anzi proprio volgare. Si dirà che l'ex ministro ha pagato e che il Tribunale di sorveglianza di Roma gli ha riconosciuto la riabilitazione.
Ma questo cancella il peccato originario, cioè comportamenti inquinati dall'avidità personale, o anche, come nel caso di De Lorenzo, per sostenere il proprio partito (il Pli)?
Certo è andato in carcere, certo ha anche affrontato un doloroso e lungo processo di reinserimento nella società e anche una grave malattia, ma questo può prevalere sulla necessità della politica d'essere d'esempio e, se sbaglia, ancora di più con la punizione?
La nostra Costituzione dice che la condanna non deve essere afflittiva e che il suo fine deve essere quello del recupero e del reinserimento. Ma, ci chiediamo, questo vale anche per i politici che si sono macchiati di corruzione?
Che esempio si dà soprattutto ai nostri giovani, vedendo che non basta una condanna a scardinare i confini di quella zona franca che i politici si costruiti attorno?
Perché la riabilitazione penale, quella riconosciuta a De Lorenzo, non è che, come i panni resi famosi della pubblicità, passa e raccoglie lo sporco. La condanna resta, solo che di essa l'imputato non avrà più ricadute giudiziarie poiché il beneficio ne promuove il reinserimento. Tutto bello, apprezzabile e anche giusto, ma se la condanna non deve essere un esempio, allo stesso modo di essa deve restare traccia in qualche modo, e la decisione di riattivare il vitalizio per De Lorenzo non sembra andare in questa direzione dando l'impressione che lo spirito di casta sopravvive a tutto.