Nel marzo 2020, quando la prima ondata di pandemia da Covid-19 minacciava di gettare sabbia nei delicati ingranaggi del commercio globale, i mercati finanziari reagirono con cali repentini e inattesi. Oggi come allora, con le dovute differenze, i dazi doganali imposti da Donald Trump ai partner commerciali degli Stati Uniti hanno diffuso nel mondo un clima di incertezza prima e di paura poi, al quale gli investitori hanno reagito con vendite di entità straordinaria, senza precedenti negli ultimi cinque anni.
Se la pandemia aveva colto di sorpresa il mondo finanziario, gli ultimi provvedimenti dell’amministrazione USA sono oggetto di dibattito da diversi mesi, nel tentativo di districarsi fra le dichiarazioni contrastanti in arrivo dalla Casa Bianca e l’idea di fondo che Trump, membro dell’élite economica americana di stampo conservatore, avrebbe guardato prima di tutto alla salute dei mercati, che nel tessuto sociale a stelle e strisce rivestono un ruolo assai più importante che in Europa. A causare una reazione così scomposta da parte di azioni, materie prime e dello stesso dollaro – bene rifugio per eccellenza – non è stato dunque l’annuncio di una politica commerciale diversa rispetto alla precedente amministrazione, bensì l’entità smisurata delle imposizioni tariffarie e l’apparente volontà di perseguire a ogni costo l’obiettivo di maggiori entrate fiscali in arrivo dal resto del mondo.
Memori di quanto osservato nel precedente mandato-Trump, gli analisti hanno a lungo scommesso su dazi rilevanti ma gestibili, capaci di convincere le potenze commerciali del mondo a sedere a un tavolo di trattative in vista di un maggior equilibrio nella dinamica produzione-esportazione-consumo, con lo scopo ultimo di riportare parte delle attività produttive mondiali all’interno degli USA. Ma la postura dell’amministrazione americana appare assai più aggressiva: imponendo tariffe tanto pesanti sul resto del mondo, Trump rischia di dare il via a una guerra globale dei dazi che ha già visto la Cina annunciare ritorsioni e che potrebbe portare, salvo un cambio di direzione, a un doloroso rallentamento dell’economia globale.
È dunque possibile, a questo punto, immaginare un’inversione di rotta? Le combattive dichiarazioni di Trump sembrano non andare per ora in questa direzione, ma il presidente americano ha abituato a colpi di scena e mutamenti improvvisi di opinione, in politica economica così come nella gestione degli affari internazionali. Occorre dunque rimanere vigili circa gli sviluppi dell’immediato futuro: la Casa Bianca è attenta, anche se non lo dichiara, all’andamento dei mercati e a quello dell’economia reale, e si sta avvicinando alla “soglia del dolore” oltre la quale i ribassi delle borse, in cui sono investiti i risparmi e le pensioni degli elettori, rischiano di erodere il consenso di cittadini e parlamentari per il presidente in carica. Una ciambella di salvataggio per i corsi di azioni e titoli di stato potrebbe poi giungere dalla banca centrale, che gli investitori si aspettano ora più proattiva nel tagliare i tassi d’interesse di qui a fine anno. Sarà però sul terreno della politica estera, del dialogo e della negoziazione che si giocherà la partita più importante, quella della sopravvivenza del modello economico globalizzato per come lo abbiamo conosciuto finora. È lecito pensare che la configurazione attuale del commercio tra paesi non sia quella definitiva e che si debba aprire, prima o poi, una fase di recupero delle relazioni internazionali oggi così tese. Sarebbe questo uno sviluppo assai positivo, per gli investimenti finanziari e non solo.
Quanto ai mercati, i bond offrono oggi la migliore forma di protezione grazie alle aspettative di minori tassi di interesse e alla possibilità concreta di un rallentamento almeno parziale della crescita economica. Sull’azionario ha senso tenere i nervi saldi e non lasciarsi trasportare in questa fase né dalle ondate di panico né da un ottimismo ancora privo di un solido fondamento. Le azioni delle più grandi aziende americane sono ora in calo mediamente tra il 15% e il 20% da inizio anno, aziende in piena salute e che subiscono solo in parte l’impatto dei dazi sono state vendute in maniera indiscriminata, la protezione per i portafogli è costosa e tutte le notizie negative sono ormai scontate nei prezzi. D’altra parte, prima di rientrare su mercati così volatili, attendiamo con disciplina e pazienza il conforto di notizie concrete e provvedimenti davvero distensivi. Saremo allora pronti a sfruttare le opportunità di acquisto che si sono spesso create in periodi di simile paura – basti pensare proprio alla pandemia – e che hanno dato luogo ad alcune delle più positive fasi di mercato degli ultimi decenni.