Quella che, negli Stati Uniti, è stata definita la ''carneficina'' di Wall Street, sembra preoccupare, ma non più di tanto, Giorgia Meloni che, marginalizzando l'impatto dei dazi trumpiani per il nostro Paese (gli Stati Uniti valgono il 10% delle nostre importazioni e noi ''non smetteremo di esportare''), ha detto che ''abbiamo un altro problema che dobbiamo risolvere'', ma che comunque ''non è la catastrofe che alcuni stanno raccontando''.
Dazi: mentre Giorgia Meloni minimizza, altri governi si sono già mossi
Se l'ultimo riferimento possa riferirsi alle critiche che giungono dall'opposizione questo fa parte del gioco della politica. Ma certo non si può fare finta di nulla, o cercare di minimizzare, lo sconquasso che Trump (e i suoi stravaganti calcoli nel quantificare i dazi, Paese per Paese) ha causato.
Meloni, da politica navigata, sa che ''verba volant'', ma che, prima o poi, arriva il momento delle cose concrete e limitarsi a fare capire che, pur comprendendo la gravità del momento, non le sembra il caso di drammatizzare, le fa assumere una posizione simile solo a quella di qualche vassallo degli Stati Uniti (tacendo dei corifei di casa nostra, più trumpiani di Trump, a dispetto dall'evidenza dei numeri).
Ma altri Paesi e altri governi non la pensano come lei, prendendo molto sul serio la situazione, di oggi e in prospettiva. Perché primi segnali inquietanti, dopo il crollo dei mercati azionari, sono già arrivati, come la decisione di alcune grandi case automobilistiche di mettere in stand by i loro stabilimenti in Canada e Messico.
Ma, come detto, altri si sono già mossi, prima che la valanga dei dazi provochi danni irreparabili.
Come ha fatto il primo ministro Pedro Sánchez che, appena poco dopo che Trump ha dichiarato guerra al mondo dal Giardino delle Rose della Casa Bianca, ha reagito annunciando un piano di risposta e rilancio commerciale, dotato di 14,1 miliardi di euro.
Mentre Meloni vuole aspettare che una trattativa parta e si concluda positivamente, Sánchez ha parlato chiaramente, dicendo che il piano, che ha fortemente voluto, costituirà "uno scudo per proteggere l'economia", così che "se la tempesta dovesse scoppiare, la Spagna avrà un doppio ombrello: quello europeo e quello spagnolo".
È interessante notare che dei 14,1 miliardi di euro annunciati da Sánchez, 7,4 miliardi di euro sono nuovi finanziamenti e altri 6,7 miliardi di euro sono strumenti esistenti che saranno utilizzati per promuovere diverse misure che saranno strutturate attorno a due pilastri principali.
Verrà anche potenziato il Fondo di sostegno agli investimenti industriali produttivi con 200 milioni di euro per modernizzare o installare nuovi impianti di produzione e verrà implementato il nuovo piano MOVES con 400 milioni di euro, che fungerà da stimolo per il settore automobilistico.
Ora, partendo dal presupposto che la situazione è talmente delicata che ogni mossa deve essere attentamente valutata, anche alla luce della sostenibilità finanziaria, traccheggiare in attesa che qualcosa cambi, ma soprattutto in meglio, potrebbe essere il modo peggiore per contrastare l'emergenza. Certo, Dazi: mentre Giorgia Meloni minimizza, altri governi si sono già mossi, anzi languono, ma è in questi momenti che chi ha la responsabilità delle decisioni finali mostri il coraggio necessario.
Qui non siamo più in una situazione da tempesta in un bicchiere d'acqua, ma davanti ad un allarme tsunami, che può rientrare, ma anche preparare alla distruzione dell'economia globale, e quindi anche della nostra.