L'intreccio tra più vicende (la scarcerazione e trasferimento in Libia del torturatore Almasri, con comunicazione a Meloni, Piantedosi, Nordio e Mantovano dell'esposto dell'avv.Li Gotti; gli inciampi giudiziari di Daniela Santanchè; la campagna - mediatica e no - contro il procuratore di Roma Lo Voi) fa parte di una storia più complessa e che, almeno in passato - e per passato parliamo del prima di Mani Pulite - mai aveva raggiunto un tale livello di rabbia.
Nello scontro tra centro-destra e i magistrati ci sono in gioco i poteri dello Stato
Se per un istante riusciamo nella difficile operazione di mettere da parte i sentimenti, quel che pare evidente è che stiamo assistendo ad una prova muscolare del governo (e con esso del centro-destra) per riaffermare il primato della politica.
Che è cosa giustissima - essendo essa frutto della volontà popolare prevalente -, ma che non si può tradurre in un lasciapassare, perenne e intangibile, verso l'impunità.
Il ragionamento, ad esempio, che fanno Giorgia Meloni e i suoi alleati è che la comunicazione di Lo Voi (impropriamente definita da questo o quell'altro un avviso di garanzia) è stato un atto voluto e non dovuto (definizione che è piaciuta molto, posto che l'hanno utilizzata tutti gli esponenti della maggioranza andati in televisione, ad ogni ora del giorno e della notte per attaccare la procura capitolina).
Dando per scontato - e non lo è affatto - che il procuratore della repubblica di Roma avesse la discrezionalità se archiviare o meno l'esposto di Li Gotti, dire che la sua è stata una scelta che trasuda motivazioni politiche è una cosa sbagliata. Non che neghiamo che Lo Voi abbia, in cuor suo, delle preferenze per questo o quell'indirizzo ideologico (e pare, comunque, che la sua toga non sia affatto ''rossa''), ma dire che, davanti al dilemma se cestinare o portare avanti il ricorso, egli abbia fatto una scelta politica o di schieramento non riguarda solo il procuratore di Roma, ma, d'ora in poi, tutti i magistrati che, trovandosi davanti qualcosa che adombra comportamenti non conformi alla legge da parte di esponenti del Palazzo, sapranno benissimo che il loro operato sarà valutato non per la correttezza formale, ma in base al colore politico del soggetto su cui sta facendo le sue valutazioni.
Possiamo girare attorno all'argomento - dando anche per assodato che tutti hanno ragione fino a prova del contrario -, ma il clima che si sta creando o che è stato già creato sembra una resa dei conti tra due (o meglio 1+1 contro il terzo) poteri dello Stato che formano la base su cui poggia la nostra democrazia.
Perché, anche se Giorgia Meloni dice esattamente il contrario, c'è chi sta utilizzando la contrapposizione determinata dall'evoluzione della storia del torturatore libico per manifestare il primato della politica anche contro l'evidenza rappresentata dalla legge.
Sentire dire oggi che la divisione delle carriere, che procede spedita verso l'esecutività, sia il suggello alla volontà di Silvio Berlusconi è banale, esistendo essa in costituzione. Ma un conto è dividere le carriere, scrivendo percorsi diversi per magistrati d'accusa e di giudizio (definizione brutale per entrambe le categorie), un altro è cercare di metterli sotto tutela, dividendo idealmente tra chi segue le indicazione del potere politico e chi invece, nel rispetto della legge, imbocca una strada differente.
Ma sono solo parole che come le cetre di Salvatore Quasimodo, aggrappate alle fronde dei salici, oscillano al vento.