Sulla Croisette, tra diamanti calibrati come riflettori e tacchi alti come dichiarazioni d’intenti, si intrecciano narrazione e vanità, estetica e potere. Cannes non è più solo un festival, è un teatro permanente dell’intelligenza visiva, dove anche un dettaglio può diventare un manifesto.
Cannes 2025: Anderson, Kidman, Huppert. Cinema d’autore e passerelle d’élite
Il centro del vortice è senza dubbio La Trama Fenicia, nuovo film di Wes Anderson, il cui manierismo ha ormai raggiunto una forma di perfezione autoironica. Al centro della storia, un magnate in fuga interpretato da Benicio Del Toro, sopravvissuto a incidenti aerei e naufragi interiori. Lo accompagna Mia Threapleton, figlia di Kate Winslet e rivelazione autentica del festival, in un ruolo di novizia sospesa tra candore e determinazione: sul red carpet, la giovane attrice incanta in un abito Dior vintage anni Sessanta, pelle alabastro e trucco impercettibile. Il minimalismo, qui, è un’arma di seduzione silenziosa.
Accanto a loro, Bill Murray, Benedict Cumberbatch, Charlotte Gainsbourg, ormai icona inscalfibile in smoking Saint Laurent, e Michael Cera. Tra le presenze più applaudite, la costumista Milena Canonero, silenziosa in nero monastico e dettagli d’oro antico, e il compositore Alexandre Desplat, che conferisce alla pellicola la sua consueta eleganza musicale. Tom Hanks, come previsto, ha declinato. Scarlett Johansson ha preferito concentrarsi sulla sua opera prima da regista, Eleanor the Great. Nessun dramma, quindi, solo scelte d’immagine.
Il parterre è comunque da vertigine: Claude Lelouch, Carla Bruni, ma préférée, tubino cipria e décolleté Vivier, Edward Norton, Shia LaBeouf in un insospettabile abito ceruleo e sorprendente autocontrollo. Il film arriverà in sala in Italia il 28 maggio con Universal e segna il ritorno di Anderson a una forma narrativa più intima, dove l’assurdo resta intatto ma il centro emotivo è in un rapporto padre-figlia da decifrare.
A complicare le classifiche e agitare le previsioni per la Palma arriva il solo film sudamericano in concorso, L’Agente Segreto di Kleber Mendonça Filho. Ambientato a Recife nel 1977, durante la dittatura militare, è la storia cupa e magnetica di un uomo troppo onesto per sopravvivere. Wagner Maura incarna l’integrità come una condanna. Il tono è teso, talvolta splatter, sempre profondamente politico, in una narrazione senza alibi, dove ogni sguardo è una minaccia.
Molto diverso per tono ma non per ambizione Io sono ancora qui di Walter Salles, affresco colorato e malinconico di una comunità di rifugiati guidata da Sebastiana, anziana vivace e irriducibile. La politica qui è solo lo sfondo. Al centro c’è la tenacia dei legami umani, raccontati con tenerezza e ironia. Alla première, il tappeto rosso si è trasformato in una festa di strada con musica dal vivo e danze improvvisate: anche questo è Cannes, dove la gioia può ancora essere rivoluzionaria.
A difendere l’empowerment con sobria fermezza ci pensa Nicole Kidman. In Prada panna e diamanti antichi, ha parlato con grazia e chiarezza della necessità di investire nel talento femminile. Dal 2010 la sua Blossom Films ha prodotto 27 progetti diretti da donne: “Produrre è la mia salvezza”, ha detto. “Assumersi rischi, attirare storie nuove, scommettere sul talento. È così che restituisco al cinema quello che mi ha dato.” Tra le nuove registe in concorso ha voluto citare Masha Schilinski, autrice di Sound of Falling, film di cui molti parlano con un entusiasmo crescente. Quando Nicole indica una direzione, il mondo del cinema ascolta.
Poi, come sempre, arriva lei. Isabelle Huppert. Vestita come un’eroina glaciale in Margiela couture, attraversa il red carpet con la leggerezza di chi sa che non deve dimostrare più nulla. Presenta La donna più ricca del mondo di Thierry Klifa, in cui interpreta Marianne Farrère, imprenditrice durissima, potente, che crolla solo di fronte a un amore imprevisto e destabilizzante. Il film riecheggia con forza la storia reale di Liliane Bettencourt, leggendaria ereditiera di L’Oréal, travolta da una lunga battaglia giudiziaria con la figlia. Qui non c’è favola né lieto fine, ma una riflessione tagliente sul potere, il denaro e la solitudine. Huppert non recita, si limita a esistere. E questo basta.
Intorno a loro, naturalmente, sfilano le nuove divinità dello stile: labbra nude, chignon destrutturati, pelle trasparente e sandali invisibili che sfidano la fisica. Gli accessori sono pochi ma perfetti, dai diamanti art déco di Chopard agli orecchini scultura di Messika. I beauty look si ispirano al minimalismo radicale delle gallerie d’arte e, tra un’apparizione e l’altra, si vocifera già dei film rivelazione e delle attrici più richieste per la stagione dei premi.
Cannes resta un gioco di specchi: quello che si vede non è mai tutto. Ma per chi sa guardare oltre le paillettes, ogni anno si nasconde un discorso serio sul presente, travestito da sogno. E in questo, la Croisette non ha rivali.
I dettagli che fanno stile
Sulla Croisette, dove l’effimero si fa eterno, ogni dettaglio ha il potere di riscrivere l’eleganza. I trend sono silenziosi, ma spietati. Il make-up si fa invisibile, la pelle è protagonista: idratata, luminosa, incorniciata da chignon bassi e ciocche studiatamente imperfette. Gli abiti più applauditi sono quelli che non cercano l’effetto, ma lo dominano: linee anni Sessanta, tessuti maschili su silhouette scolpite. Il rosa cipria e il verde giada hanno spodestato il nero. La parola chiave è “assenza di sforzo”, anche se orchestrata con chirurgica precisione.
Le maison più presenti: ovviamente, Saint Laurent, Prada, Loewe, Dior, Bottega Veneta e Schiaparelli. Ma la vera tendenza è il ritorno della couture “non urlata”, pezzi d’archivio e gioielli con una storia da raccontare. Il vintage scelto sapientemente è diventato il nuovo esclusivo.
Scarpe rasoterra? Rarissime, il tacco resta un gesto politico. E se il red carpet è il tempio, le passerelle secondarie, terrazze d’albergo, feste segrete, pranzi blindati, sono i luoghi dove davvero si decidono le alleanze di potere e le copertine dei mesi a venire. A Cannes, lo stile non è mai solo bellezza. È una lingua, ed è vietato non parlarla fluentemente.