Politica

Movimento Cinque Stelle: morto un padrone, se n'è già fatto un altro

Redazione
 
Chiamatelo come volete - regicidio, parricidio, eutanasia -, l'esito dell'assemblea costituente dei Cinque Stelle, cambiando i nomi e i profili, ha lasciato il movimento così come era prima, perché ad un punto di riferimento, storico ancor prima che ideologico, quale è stato Beppe Grillo, ne è stato sostituito un altro, Giuseppe Conte, da ieri dominus indiscusso del partito.

Un esito abbastanza scontato, ma che, alla fine, è stato accolto ieri pomeriggio con una esplosione di entusiasmo, cancellando nel volgere di un paio di giorni (ma con una preparazione lunga mesi di scontri verbali), la storia dei Cinque Stelle, che si sono accorti di non avere più bisogno di un tutore, ma di potersi muovere da soli, senza l'ingombrante presenza, sia pure virtuale, del fondatore, che voleva continuare ad avere riconosciuto il ruolo di potenziale disfacitore di quel che era stato facitore.

Cioè, tanto per uscire fuori di metafora, di avere voce in capitolo nelle future mosse di un movimento di cui aveva perso da tempo il controllo, relegato al ruolo di fastidioso Grillo Parlante, peraltro ascoltato solo da pochi, ma comunque gratificato da un contratto di consulenza da trecentomila euro all'anno. Caso forse unico nella storia italiana, con un politico pagato al suo stesso partito, di cui vantava la diversità rispetto al quadro politico dominante.

Quindi, la fotografia di Giuseppe Conte che sale sul palco per celebrare e celebrarsi è la lapide sul vecchio partito e, insieme, il blocco di partenza del nuovo che si vuole collocare nell'ambito della sinistra, pur mantenendo il proprio profilo, le proprie idee, la propria visione del Paese. Che però Giuseppe Conte ammette ora di volere confrontare con i potenziali compagni di cammino.

Una netta cesura rispetto al passato, quando si chiedeva agli altri di accettare le tesi grilline, senza se o ma. Certo Conte, sia pure nell'euforia del momento, ha dovuto mettere da parte il pragmatismo (per qualcuno, l'opportunismo) e quindi dare un contentino all'anima movimentista dei Cinque Stelle, elencando quelli che, a suo dire, sono stati i successi della buonanima dei grillini, anche se, nel ricostruire il passato, ha perso un po' di grip rispetto alla realtà. Così ha rivendicato a sé e solo a sé stesso la costruzione del nuovo ponte di Genova, ''tenendo fuori mafia e camorra'', speriamo dandosi un riconoscimento politico e non volendo marginalizzare l'impegno delle istituzioni locali, a partire dalla magistratura.

Ma Giuseppe Conte è fatto così, rivendicando di essere stati, i Cinque Stelle, ''la forza capace di salvare l’Italia durante la pandemia, mettendo il Paese in condizione di ripartire con slancio, di risollevare con misure specifiche il comparto edilizio che era in crisi da anni, di fare una legge sulla trasparenza, conoscete chi è andato in Europa ed è tornato a casa con 209 miliardi?'', ma dimenticando che è stato un Paese intero a farsi carico dell'emergenza.

Nella narrazione che Conte ha fatto ieri del recente passato del Movimento e del suo (odierno) il fallimento del suo secondo governo diventa un ''Ci hanno buttato fuori da Palazzo Chigi perché non volevamo che continuassimo a cambiare la società'', ricordando a tutti come abbia vissuto questa esperienza come un trauma personale, da cui ancora non si è affrancato. Anche perché nessuno dimenticherà quella improvvisata, imbarazzante, sconclusionata conferenza stampa, sotto le finestre di quello che era il suo ufficio, in cui venne fuori l'uomo, ferito, umiliato e offeso, e non lo statista, come lui si è sempre pensato.
Il tempo sembra avere avuto, su Giuseppe Conte e le sue legittime ambizioni, un effetto stabilizzante, facendogli capire che le battaglie non si vincono da soli. In questa direzione è andata anche la scelta di abolire il vincolo del secondo mandato, per costruire una classe dirigente dei Cinque Stelle, clamorosamente mancata quando serviva, al Paese e non solo al partito.
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