L'Universo continua a riservarci sorprese. L’ultimo oggetto celeste che ha catturato l'attenzione degli scienziati si chiama 2024 YR4. Scoperto a dicembre 2024 da un osservatorio in Cile nell'ambito del programma Atlas, questo asteroide ha un diametro stimato tra 40 e 100 metri e, in caso di impatto, potrebbe generare un'esplosione paragonabile a quella dell'evento di Tunguska del 1908, capace di devastare un'ampia area o di creare un cratere di un chilometro di diametro.
Scoperte dallo spazio: tra minacce e origini della vita
Attualmente, la probabilità di collisione con la Terra nel 2032 è calcolata intorno all'1,2%, pari a 1 su 83, rendendolo il primo nella lista degli asteroidi potenzialmente pericolosi monitorati dall'Agenzia Spaziale Europea (ESA) e dal Jet Propulsion Laboratory della NASA. Tuttavia, gli scienziati sottolineano che ulteriori osservazioni potrebbero ridurre questa probabilità, come già accaduto in passato con l'asteroide Apophis, inizialmente considerato un serio pericolo per il 2029, ma poi rivelatosi innocuo. La questione sarà discussa nella prossima riunione dello Space Mission Planning Advisory Group delle Nazioni Unite a Vienna, dove esperti di tutto il mondo valuteranno strategie di difesa planetaria. L'ESA e la NASA, membri dell'International Asteroid Warning Network, stanno già coordinando le osservazioni per monitorare l'asteroide con telescopi avanzati, tra cui il Very Large Telescope in Cile. Nel caso in cui il rischio d'impatto dovesse rimanere significativo, si potrebbero attivare strategie di deviazione, come impatti cinetici o interventi con veicoli spaziali per modificare la traiettoria dell'asteroide. Una decisione in tal senso, però, richiederebbe anni di pianificazione e sviluppo tecnologico.
Mentre alcuni asteroidi rappresentano un rischio per la Terra, altri potrebbero aver contribuito alla sua evoluzione. Ne è un esempio Bennu, dal quale la missione OSIRIS-REx della NASA ha prelevato campioni nel 2018, riportandoli sulla Terra nel 2023. L'analisi delle rocce e delle polveri ha confermato la presenza di elementi organici fondamentali per la vita: amminoacidi e basi azotate del DNA e dell'RNA. In particolare, nei campioni di Bennu sono stati individuati 14 dei 20 amminoacidi essenziali per la vita sulla Terra, oltre a tutte e cinque le basi nucleotidiche (adenina, guanina, citosina, timina e uracile). La scoperta ha profonde implicazioni: conferma l'ipotesi che gli asteroidi abbiano portato sulla Terra i mattoni della vita miliardi di anni fa, alimentando il dibattito su come si siano formati i primi organismi viventi. Oltre ai composti organici, i ricercatori hanno trovato nei campioni di Bennu una varietà di sali minerali, tra cui fosfati, carbonati, solfati e cloruri. La loro presenza suggerisce che Bennu abbia avuto origine in una regione ricca di acqua nel primitivo Sistema Solare. Secondo gli scienziati, il corpo celeste da cui Bennu si è formato si trovava probabilmente nelle zone più fredde del Sistema Solare, dove l'ammoniaca è stabile, fornendo nuove informazioni sulla chimica cosmica.
Due notizie apparentemente distanti, ma che insieme sottolineano il ruolo cruciale degli asteroidi nella storia e nel destino del nostro pianeta ricordandoci, al tempo stesso, quanto sia complesso e affascinante il nostro rapporto con il cosmo.