I numeri, seppure relativi al primo dei due giorni in cui le urne resteranno aperte un Emilia-Romagna e in Umbria, danno in crescita preoccupante il fenomeno della bassa affluenza, con percentuali talmente risicate da imporre una riflessione che, se vale per oggi, si proietta in modo preoccupante anche per il domani, conclamando una tendenza che potrebbe condizionare - e non crediamo di esagerare più di tanto - il futuro democratico del Paese.
Alla base della scelta di non andare a votare ci possono essere mille e una motivazione, non ultima quella della disaffezione verso una classe politica che sembra tradire quotidianamente il patto siglato con i cittadini, quello di essere al loro servizio, per trasformandosi, ancora una volta - risorgendo dalle ceneri di scandali a getto continuo e di comportamenti spesso esecrabili - in una casta autoreferenziale.
Il quotidiano teatro della politica spesso diventa teatrino perché la qualità degli eletti è quella che è, con ''protagonisti'' che appena qualche anno fa non sarebbero nemmeno fatti accostare ai palazzi del potere, perché un tempo ci si arrivava dopo una dura gavetta, fatta di passaggi da consessi elettivi locali sino a quelli nazionali, dove si arrivava dopo una durissima selezione.
Di questo la gente ha una percezione esatta, così come capisce che le troppe parole si disperdono nel vento, non portando fatti concreti. Come quando, in occasione di eventi catastrofici, le passerelle e le promesse sparse a piene mani nell'immediatezza di tragedie si sono tradotte in poche e insufficienti misure, allargando ancora di più la distanza tra chi ha in mano le leve del potere reale e gli altri.
Per questo non andare a votare è una forma di protesta, sebbene non manifestata apertamente, ma soprattutto una disaffezione, questa sì abbastanza palese, verso un sistema che sembra sempre più allontanarsi dalla realtà della vita quotidiana.
Non infilare la scheda nell'urna non è quindi più una deriva ''anarcoide'' della politica, ma il segnale ulteriore che il delicato sistema di pesi e contrappesi che sta alla base del nostro sistema democratico sta scricchiolando pericolosamente, perché se un candidato viene eletto da una minoranza sarà un politico imperfetto, non rappresentando una maggioranza in termini numerici, ma solo di uno sparuto gruppo.
Ma, al di là delle analisi sociologiche, quanto sta accadendo anche in queste ore, con la gente che gira al largo dei seggi in Umbria e in Emilia-Romagna, conferma che il pericolo (che si avvicina strisciante e, per questo, colpevolmente sottovalutato) è che, come si dice, i non votanti diventino, sebbene in modo imperfetto, un partito. Una definizione efficace, che però, a nostro avviso, non traccia un profilo esatto della situazione, perché si dovrebbe parlare di una massa indistinta - la colorazione politica di chi diserta le urne è variegata - che, appunto per questo, potrebbe determinarsi a scegliere chi, ai suoi occhi, rappresenta certezze e non la vacuità della politica di oggi.
Sulla manipolazione delle masse c'è chi ha fatto la sua fortuna e lo stesso potrebbe accadere se qualcuno o un soggetto politico mostrasse di essere in grado di rappresentare i bisogni della gente comune, catalizzandone il consenso, ma anche la rabbia e le recriminazioni.
Fantapolitica? Forse e, da democratici, speriamo che il nostro timore sia una fantasia.