Economia

UniCredit mira a BPM, ma la politica (leghista) dice no

di Demetrio Rodinò
 
Il mondo della finanza spesso va a braccetto della politica perseguendo, quasi sempre, finalità che dovrebbero avere ricadute positive per tutti. Ma non va sempre così, perché può accadere che qualcosa si metta per traverso, con motivazioni che possono essere speciose, e quindi legate alla strumentalizzazione più che alla concretezza, ma che  diventano un problema. 

Come sta accadendo a UniCredit che, come direbbe il poeta, nel silenzio dell'oscurità notturna, ha mollato una bomba, di quelle che fanno innanzitutto rumore (sugli effetti concreti si vedrà). L'istituto guidato da Andrea Orcel (nella foto) ha lanciato una offerta di scambio Unicredit su Banco Bpm che, volendo minimizzare, ha avuto l'effetto di un boato, scuotendo il settore bancario italiano (ma anche europeo), anche se abituato ai colpi di teatro di cui è spesso protagonista l'ad dell'istituto di piazza Gae Aulenti.

Perché non è che UniCredit si sia all'improvviso svegliata e abbia dato l'assalto ad un unico obiettivo, quindi concentrando tutte le sue forze. No, perché la banca è già impegnata in un braccio di ferro, quello della scalata, a dire il vero impervia, della tedesca Commerzbank. 

Ma questa è un'altra storia e ancora tutta da definire. Quel che invece splende agli occhi della Lega è che l'operazione messa in piedi da Orcel, guardando a Banco Bpm, non s'ha da fare. 

Perché?

Il primo motivo lo ha spiegato il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, che ha mostrato per intero il suo disappunto perché l'operazione è stata "comunicata, ma non concordata col governo", infrangendo almeno un paio di regole del galateo che vige quando i numeri sono spaventosamente alti e non possono essere decisi nel ristretto ambito di un ufficio, anche se è quello - immaginiamo tutto cuoio e boiserie - di Orcel. 

Ma Giorgetti, che in questo caso ha mostrato d'essere acqua cheta, e per questo paziente, ma determinato, ha sparato a palle incatenate contro l'operazione (almeno nella forma con la quale è stata annunciata) ricordando che ''esiste la golden power. Il governo farà le sue valutazioni, valuterà attentamente quando Unicredit invierà la sua proposta per le autorizzazioni del caso".

Anche se il protocollo è stato rispettato, quello che si può intendere dalle parole di Giorgetti è un possibile no, motivato, ma pur sempre no. 

Anche perché, attingendo alla sua biblioteca e alle letture da relax, Giorgetti è stato quasi un profeta di sventure e lo ha fatto prendendo a prestito una fase di von Clausewitz, teorico della guerra moderna.  

"Il modo più sicuro per perdere la guerra è impegnarsi su due fronti, poi chissà che magari questa volta questa regola non sarà vera", ha aggiunto ancora Giorgetti, fermandosi lì, ma a tutti è stato chiaro che parlasse dei due dossier che Orcel intende risolvere positivamente, Commerzbank e Banco Bpm.

Se il bocconiano Giorgetti ha risposto alle sortite di Orcel impugnando il fioretto, Matteo Salvini è andato di spadone: "A me le concentrazioni e i monopoli non piacciono mai, ero rimasto al fatto che Unicredit volesse crescere in Germania. Non so perché abbia cambiato idea. Unicredit ormai di italiano ha poco e niente: è una banca straniera, a me sta a cuore che realtà come Bpm e Mps che stanno collaborando, soggetti italiani che potrebbero creare il terzo polo italiano, non vengano messe in difficoltà. Non vorrei che qualcuno volesse fermare l'accordo Bpm-Mps per fare un favore ad altri". E, alzando il tiro e puntando al bersaglio grosso,  ha messo nel mirino la Banca d’Italia. "L'interrogativo mio e di tanti risparmiatori è Banca d'Italia c'è? Che fa? Esiste? Che dice? Vigila? Siccome sono tra i più pagati d'Italia, da cittadino italiano vorrei sapere se è tutto sotto controllo". 

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