Matteo Salvini è stato assolto dalle accuse legate alla vicenda dei migranti ai quali, cinque anni e mezzo fa, fu negato lo sbarco a terra dalla nave dell'ong catalana Open Arms, che li aveva raccolti il mare e ai quali era stata negata la possibilità di approdare a Lampedusa, il porto sicuro che i soccorritori reclamarono da giorni.
La formula assolutoria è quella che il fatto non sussiste, cioè che nei comportamenti tenuti da Salvini, all'epoca ministro dell'Interno, non sono stati ravvisati profili tali da renderlo penalmente responsabile delle accuse di sequestro di persona e di rifiuto di atti d'ufficio, per i quali la procura palermitana aveva chiesto la condanna a sei anni di reclusione. Quindi, Salvini ha operato, ma senza che quello che ha fatto fosse penalmente rilevante.
La sentenza è stata accolta da un applauso, da parte dei molti esponenti leghisti arrivati a Palermo per rappresentare la vicinanza a Salvini. La compagna del ministro, Francesca Verdini, non ha trattenuto le lacrime.
L'esito del processo che Matteo Salvini ha affrontato per la gestione del caso Open Arms politicamente parlando è rimasto sempre - al di là dei giusti timori di una condanna - qualcosa che il segretario leghista ha cavalcato mediaticamente e dal quale, sia in caso di verdetto negativo che di assoluzione, trarre dei risultati.
Santo o peccatore, Matteo Salvini sarebbe comunque rimasto in sella, anche se, in caso di condanna, avrebbe costituito un problema per il governo, che questa sera ha tirato un sospiro di sollievo e che ha celebrato l'assoluzione sia con Giorgia Meloni che con Antonio Tajani.
Ormai da mesi il segretario leghista aveva creato intorno alla vicenda giudiziaria una attenzione che, con i fatti del processo, abbastanza chiari nella dinamica (sulle motivazioni il discorso sarebbe ben più complesso), aveva ben poco a che spartire. L'essersi presentato, davanti all'opinione pubblica, come un martire, con la testa finita sul cenno del boia solo per avere ''difeso i confini italiani'', è stato lo strumento di una comunicazione politica all'insegna non del rispetto tra poteri dello Stato (lui che è vicepremier e ministro di questa Repubblica), ma della delegittimazione di uno di essi, accusando i magistrati di utilizzare un episodio, sebbene dai contorni incerti, per attaccare il governo e, più in generale, il centrodestra. Sarebbe interessante sapere ora quali saranno le considerazioni di Salvini nei confronti dei magistrati di Palermo, perché se alcuni - la procura - lo hanno voluto processare, altri - quelli che lo hanno giudicato - lo hanno assolto con formula ampia, mostrando quella autonomia di giudizio sulla quale il vicepremier, nei fatti e con le parole, aveva fatto capire di avere timore.
Sorvolando sul fatto che la vicenda Open Arms risale ad un periodo in cui era ministro degli Interni - da lui usato spesso come una clava politica -, ma di un governo di diversa composizione, e quindi schieramento, guidato da Giuseppe Conte.
Davanti all'opinione pubblica, Salvini ha sempre usato toni da agnello sotto Pasqua ogni qualvolta ha avuto un microfono davanti alla bocca, anche quando le domande che gli venivano poste avevano ben altro oggetto che non quello della sbandierata persecuzione cui, da anni, dice d'essere sottoposto per avere difeso l'Italia dall'invasione di migranti irregolari.
Quindi una possibile condanna - che lui ha paventato ad ogni occasione utile - era messa in conto e non necessariamente come un evento catastrofico. Perché, se Bertold Brecht diceva ''sventurata la terra che ha bisogno di eroi'', Salvini, agli occhi del suo movimento ha voluto incarnare un personaggio dal profilo epico, sapendo che stava perdendo sostanza (per una imbarazzante serie di scoppole elettorali) la rendita di posizione dentro la Lega. E davanti al movimento, ha sempre cercato di mostrarsi circonfuso dall'aura del martire, come un san Sebastiano trafitto dalle frecce dei magistrati.
''Ho difeso il mio Paese, vincono la Lega e l'Italia'' sono state le prime parole di Salvini dopo che il dispositivo della sentenza è stato letto. Per poi lanciare un ammonimento: ''Difendere i confini, la patria dagli scafisti e dalle ong non è un reato. Chi usa i migranti oggi torna in Spagna con le mani in saccoccia. Contrastare l'immigrazione di massa non è reato''.
Ecco, le parole di Salvini, sebbene giungano dopo anni di umanamente comprensibile tensione (essendo convito della sua piena innocenza), sono state di un imputato assolto e non di uno statista.