Economia

Manovra, come correggere l'articolo 18 evitando distorsioni e asimmetrie

di Simone Strocchi, fondatore Electa Ventires- IPO Club e consigliere Assonext
 
Manovra, come correggere l'articolo 18 evitando distorsioni e asimmetrie

La manovra di bilancio contiene ormai, com’è noto, una sorpresa difficile da ignorare. L’esecutivo che in questi anni si è distinto per attenzione e sensibilità verso lo sviluppo dei mercati dei capitali, e per il tentativo serio di ricucire il rapporto tra risparmio privato e imprese italiane, ha inserito una revisione della PEX che, nella formulazione del disegno di legge, avrebbe sottoposto a piena doppia imposizione i dividendi derivanti da partecipazioni inferiori al 10%. Una scelta che, più che una correzione di rotta, appare come una brusca inversione rispetto alla strategia fin qui perseguita. E infatti il governo, con senso di responsabilità, ha rapidamente compreso che l’indicazione di una soglia percentuale, senza eccezioni né salvaguardie, non è potabile: produrrebbe effetti paradossali proprio sugli obiettivi che l’insieme delle norme varate in questo triennio intende sostenere. Sarebbero penalizzati gli investimenti delle holding familiari o industriali in società italiane nelle quali non esercitano controllo; verrebbero disincentivati i club deal che raccolgono capitali italiani per sostenere aziende italiane; e si renderebbe più difficile, persino controproducente, favorire percorsi di aggregazione tra imprese che, fisiologicamente, comportano diluizioni percentuali delle partecipazioni nella società consolidante.

Manovra e art.18: correggere la revisione PEX evitando distorsioni

Ne conseguirebbe un autogol perfetto: ridurre i flussi di capitale verso le nostre aziende in crescita, complicare la vita alle PMI quotate e rendere meno attraente il mercato domestico per quegli investitori pazienti e stabili che si vogliono attrarre sui listini. Ora, nella fase di revisione che è in atto - non priva di tirate di giacchetta da parte di corporativismi e interessi di bottega - dobbiamo fare attenzione che la toppa, da applicare cercando di mantenere il gettito, non diventi peggiore del buco. L’ipotesi di introdurre una soglia alternativa basata sul valore dell’investimento è concepibile, ma pone interrogativi concreti: il valore deve essere quello storico di acquisto o quello periziato? Con quali criteri e con quali effetti su situazioni diverse? E soprattutto: perché estendere questa logica anche alle plusvalenze - mai citate nella manovra - allargando il perimetro di incertezza e complicando una disciplina che fino ad oggi ha garantito linearità, certezza e attrattività del sistema?

Se proprio non fosse possibile un ripensamento complessivo della revisione PEX (soppressione dell’articolo 18 della Ddl di bilancio), una soluzione coerente dal punto di vista politico e sistemico sarebbe ridurre l’esenzione IRES dal 95% al 90% in modo uniforme, evitando cuspidi, distorsioni e asimmetrie. Una scelta meno elegante ma più equa, che non creerebbe rotture né penalizzazioni selettive basate su percentuali rigide o su soglie di valore difficili da interpretare. Quale che sia la soluzione finale, c’è un punto essenziale che merita di essere affermato con chiarezza: occorre salvaguardare la PEX piena per le partecipazioni in società italiane quotate con capitalizzazione inferiore al miliardo di euro, detenute da almeno dodici mesi. Il costo per lo Stato sarebbe contenuto rispetto al gettito che l’art 18 della manovra intende recuperare (1 mld di euro): circa 30 milioni di euro, una cifra davvero irrisoria se confrontata con il valore sistemico di sostenere gli investimenti pazienti in un segmento decisivo del nostro mercato. Se vogliamo davvero spingere le holding familiari a investire nelle società quotate italiane, se vogliamo incoraggiare aggregazioni industriali che rafforzino distretti e filiere strategiche, e se crediamo davvero nella funzione dei mercati come cerniera naturale tra risparmio e impresa, allora la coerenza è indispensabile. La modernizzazione del Paese passa anche da scelte fiscali che non puniscano chi investe capitale di rischio nelle nostre imprese. Evitiamo gli autogol: il mercato italiano ha bisogno di capitali, certezza, visione e pazienza. Non di barriere inconsapevolmente alzate per ragioni di gettito, che rischiano di farci tornare indietro.

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