Ambiente & Sostenibilità

In bilico tra santi e falsi dei

di Marco Ferraresi
 
In bilico tra santi e falsi dei

L’Europa si trova sospesa in un bivio quasi mistico: da una parte i “santi”, il virtuoso modello climatico costruito e difeso con convinzione negli ultimi dieci anni; dall’altra i “falsi dei”, le paure del momento, l’ansia di costi immediati di energia e gas, le pressioni industriali e politiche che spingono a ritrattare.

Artefici di questo equilibrio instabile, le ultime decisioni europee sulla sostenibilità: l’Omnibus I Package e il dibattito sull’ETS2.

Nel merito durante il trascorso 13 novembre 2025, il Parlamento Europeo ha votato per ridurre gli ambiti e obblighi di rendicontazione e (CSRD) e di due diligence (CSDDD), favorendo l’uscita dal perimetro della normativa di una buona parte del tessuto industriale europeo e italiano (si attende l’esito dei negoziati trilaterali tra Parlamento, Consiglio e Commissione per chiudere il testo, idealmente entro fine 2025).

Cionondimeno la discussione europea si è interessata nei giorni trascorsi anche della possibilità di postergare l’operatività dell’Ets2 di un anno. Il regolamento che ne disciplina l’attuazione contiene, a tal riguardo, una clausola di sicurezza molto precisa. Qualora nel 2026 i prezzi energetici dovessero salire sopra determinate soglie, la Commissione avrà la facoltà di posticipare l’avvio dell’ETS2 dal 2027 al 2028. Tale salvaguardia è stata concepita per mitigare l’effetto sociale, non per rallentare la transizione; ciononostante negli ultimi giorni, diversi Stati membri stanno tentando di anticiparne l’efficacia, a tal punto da chiedere di rinviare l’ETS2 al 2030, disconoscendo la portata tecnica della clausola di salvaguardia (attivabile in caso di condizioni economiche oggettive) in favore di un mutato strumento politico.

La Commissione dovrà monitorare l’andamento dei prezzi energetici nel corso del 2026, stabilendo se sussistano condizioni oggettive per attivare la clausola, escludendo scelte discrezionali o politiche in ragione di parametri economici chiari, utili a formulare una valutazione di natura tecnica.

La prima immaginabile implicazione riguarderà il “fine tunning” tra le imprese che saranno esenti dall’obbligo di rendicontazione e il mondo bancario e finanziario, oramai troppo abituato ad una logica prudenziale ed un approccio volontaristico nella disclosure sulla sostenibilità, divenuta di fatto “moral suasion” vincolante.

Sorge spontaneo accostare questa fase di incertezza, di rinvii potenziali, alleggerimenti normativi e nuove soglie, alle infauste scelte adottate nella storia recente del settore automotive e dell’efficienza energetica.

Principalmente l’UE fu la prima grande economia ad intuire ed investire su rinnovabili, normative ambientali e carbon compliance, affermandosi per un decennio epicentro mondiale dell’innovazione energetica e ambientale. La Cina osservava, studiava il modello e, approfittando dell’indecisione europea, ha iniziato a scalare la produzione e industrializzare il settore, proteggendo il mercato interno e concentrando gli investimenti nazionali. Il risultato non tanto sorprendente che la Repubblica asiatica attualmente controlla fino al 90% della produzione mondiale di pannelli fotovoltaici e domina la supply chain delle batterie, del litio raffinato, dei componenti per l’eolico e dei materiali critici, integrando l’intera filiera.

Il vecchio continente scelse diversamente la prudenza e il risultato di breve periodo, atterrito dalla paura del rischio di costi immediati, non intuendo il vero azzardo di trovarsi nel tempo a competere in un mercato già deciso da altri.

La storia degli ultimi vent’anni ci suggerisce che, quando l’Europa rallenta e la Cina accelera, la traiettoria competitiva è già segnata. Il vero fallimento sarebbe reiterare per gli stessi timori; rallentare concedendo i benefici di un vantaggio competitivo intuito e costruito in anticipo. Come nel passato, confondere l’approccio del “rallentare” come panacea per mettere in sicurezza la propria industria, sottovalutando l’inevitabile conseguenza di dipendere da chi non ha esitato. Puntare ad una riduzione del 7-10% delle emissioni entro il 2035, sviluppare un sistema di trading delle emissioni nazionale, sulla falsa riga del nostro Emission Trading Scheme (inaugurato nel 2021 inizialmente concepito per il settore elettrico, in attesa di estendersi a settori come acciaio, cemento e alluminio), aver avviato un sistema nazionale di gestione del “carbon footprint” dei prodotti (con standard nazionali, database fattori di emissione, etichettatura e livello di disclosure per prodotti/filiera) e aver introdotto un sistema di “dual control” che considera sia il valore dell’’intensità carbonica che quello delle emissioni totali nei prossimi piani quinquennali (con l’obiettivo di passare da controllo dell’energia consumata a controllo diretto delle emissioni), sono segnali sintomatici di una maturata scelta, applicando normative e strumenti ambientali estrapolati dal modello europeo.

In particolare, il nuovo Piano Quinquennale cinese rilancia la strategia tecnologica e green, slegandosi da logiche di crescita del Pil, in favore di supremazia tecnologica e autonomia strategica. La Cina non sta inseguendo una moda, al contrario ha intuito chiaramente il terreno dove si giocherà il potere economico dei prossimi 30 anni.

L’industria europea non può rinunciare a quanto ottenuto finora nel proprio processo di decarbonizzazione, non può rinnegare l’evidente esigenza di puntare e costruire nuove filiere continentali altamente sostenibili e alla possibilità di convertire interi settori con tecnologie pulite utilizzando le risorse di virtuosi meccanismi di tutela ambientale.
 
Valorizzare quanto costruito, trasformando la paura dell’impopolarità nel coraggio di prendere una scelta decisa, il timore di non poter governare i costi nella consapevolezza di poter contare su rinnovati processi di approvvigionamento, produttivi, di distribuzione e logistici, orgogliosamente europei e con limitato impatto ambientale.

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