Economia

Il fisco “mangia” 156 giorni di lavoro

di Redazione
 
Il fisco “mangia” 156 giorni di lavoro
Secondo l’ultimo rapporto dell’Ufficio studi della CGIA di Mestre, nel 2025 i contribuenti italiani hanno lavorato fino al 6 giugno, ossia per 156 giorni, solo per onorare le richieste del fisco. Dal giorno successivo, e fino al 31 dicembre, i cittadini potranno destinare i propri guadagni a sé stessi e alle proprie famiglie. Il dato mette in luce la persistenza di una pressione fiscale tra le più alte in Europa, con conseguenze significative su imprese e lavoratori.

Il cosiddetto “tax freedom day” calcolato dalla CGIA evidenzia il peso complessivo di imposte e contributi, che nel 2025 raggiungeranno quota 962 miliardi di euro a fronte di un Pil stimato a 2.256 miliardi. A incidere sul carico fiscale non sono soltanto i versamenti Irpef, Ires, Irap e Iva, ma anche contributi previdenziali, addizionali e tributi locali.

Un fattore determinante, secondo lo studio, è l’evasione fiscale. Si stimano almeno 2,5 milioni di lavoratori irregolari, che operano in nero o senza partita Iva, concentrati soprattutto in Lombardia, Lazio e Campania. Se si considera il tasso di irregolarità, il record spetta alla Calabria (17,1%), seguita da Campania (14,2%), Sicilia (13,6%) e Puglia (12,6%). Questa platea di evasori sottrae gettito allo Stato e costringe i contribuenti onesti a sopportare un peso maggiore.

Il confronto storico mostra come il carico fiscale sia variato negli ultimi trent’anni, il livello più basso risale al 2005, durante il governo Berlusconi II, con una pressione pari al 38,9% del Pil e appena 142 giorni necessari per “liberarsi” dalle tasse. Il picco massimo, invece, si registrò nel 2013 con il governo Monti, quando la pressione fiscale toccò il 43,4%. Per il 2025 è attesa una pressione del 42,7%, leggermente superiore al 2024 ma influenzata da modifiche contabili legate alla decontribuzione e ai bonus per i redditi medio-bassi.

Nel confronto europeo, l’Italia resta tra i Paesi più tartassati: al sesto posto nel 2024 con una pressione fiscale del 42,6% del Pil, dietro a Danimarca, Francia, Belgio, Austria e Lussemburgo. Peggio di noi solo la Francia, con 2,6 punti percentuali in più. Rispetto ai nostri partner principali, la Germania paga 1,8 punti in meno e la Spagna addirittura 5,4 punti in meno.

La CGIA sottolinea che l’aumento della pressione fiscale negli ultimi anni non è legato principalmente a nuove imposte, quanto a dinamiche economiche e contabili, dalla crescita dei redditi da lavoro e capitale all’introduzione di bonus sostitutivi delle riduzioni contributive. Tuttavia, i contribuenti continuano a percepire un peso fiscale elevato, aggravato dalla persistente evasione che riduce equità e fiducia nel sistema.
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