Che le discussioni, nella e della politica, si scatenino alla vigilia di ogni manovra economica è una prassi, con chi la presenta - il governo, a magnificarne contenuti ed effetti - e chi la contesta - le opposizioni, sempre e comunque, anche se fosse la migliore di ogni epoca. E' la solita storia, perché l'argomento è uno dei pochi in cui i numeri, che sono certi per definizione, vengono invece interpretati in tutti i modi possibili, diventando una materia di scontro, quando invece, essendo essi legati all'economia del Paese, potrebbero costituire la base di partenza di una discussione.
Chi, con animo laico, si volesse accostare al tema dovrebbe, però, leggere con attenzione di ''bugiardino'' della politica, quello che impone, innanzitutto e soprattutto, di mettere la tara alle dichiarazioni di questo o quello, nella consapevolezza che esse di concreto, di analitico, di scientifico hanno poco, dando invece risposte solo alla voglia di propaganda della sponda politica di appartenenza. Ma, oltre che dai contenuti della manovra, oggi si parla di patrimoniale e dello sciopero generale indetto dalla Cgil, entrambi parte dell'arsenale tradizionale.
Perché di patrimoniale si parla sempre, dal momento che proporre di tassare le grandi ricchezze, oltre al valore pratico di drenare risorse, è un modo come un altro per ricordare che il Paese è composto da tutti e che non ci sono zone franche tra chi deve contribuire fattivamente a mandarlo avanti. La patrimoniale - mai parola fu più oggetto di discussioni, come sta accadendo in queste ore - si tradurrebbe in un contributo di solidarietà - ma soprattutto un prelievo forzoso - per chi ha una ricchezza rilevante.
Una misura che da sinistra e comunque dalla opposizioni viene riproposta ad anni alterni - uno sì e l'altro pure... - e contro la quale la destra, oggi di governo, non intende nemmeno parlare. Ma il problema del piatto (le casse dello Stato) che piange resta, e quella che potrebbe anche essere una misura di ragionevole contributo dei ricchi all'andamento del Paese viene etichettata come una rappresaglia ideologica, quando invece potrebbe essere vista coma la risposta di chi più ha alle esigenze della comunità nazionale e quindi di chi ha meno.
Con la destra al governo mai una patrimoniale, ha detto Giorgia Meloni, facendo eco alla tradizione, ma il problema resta, ben sapendo che quel contributo chiesto o preteso ai ricchi potrebbe essere non un semplice pannicello caldo, ma qualcosa di più sostanziale. Anche perché si tratta di un qualcosa che anche in altri Paesi hanno preso in considerazione e che in alcuni, come la civilissima Francia, hanno scatenato una ordalia dentro il corpus politicus.
E poi c'è lo sciopero generale, quello che la Cgil di Maurizio Landini ha indetto per venerdì prossimo e che ha scatenato il centrodestra in una corsa a chi ne dice il peggio.
Che lo sciopero sia ormai uno strumento per fare politica è talmente chiaro che solo i ciechi e i sordi potrebbero dire il contrario. Nel momento in cui uno sciopero come questo viene indetto contro la manovra, che è l'atto politico per eccellenza, si fa appunto politica, fermo restando che si cerca di fare gli interessi di lavoratori e pensionati, ma anche del resto della popolazione. Quindi, a volere dare alle cose il loro esatto nome, lo sciopero è politica, perché è uno strumento per riaffermare delle idee. Che poi siano giuste o sbagliate è un altro discorso.
Ci sarebbe da parlare sull'efficacia di un mezzo di protesta che viene reiterato con una tempistica ormai troppo ravvicinata e che per questo perde dell'impatto mediatico dell'eccezionalità. Ma queste sono scelte che attengono al sindacato, quale sia la sua sigla e, quindi, alla sua connotazione ideologica, e, di conseguenza, alla distanza da chi comanda la baracca. Ma contestare lo sciopero in quanto tale rischia di essere il segnale di una ricercata compressione della ''libertà'' di dissenso da parte di chi non si allinea al governo di turno e alle sue scelte.
Sottolineare che ci son troppi scioperi - e in effetti sono tanti - solo facendo un po' di conti, fa perdere di vista che le proteste sono conseguenze di scelte che si intende contestare. Magari poi a prevalere è la deriva squisitamente politica dello sciopero, ma questa è cosa fisiologica, quando invece si potrebbe porre l'accento sulle divisioni del sindacato, in cui il concetto di unitarietà s'è perso negli anni.