Attualità

Il nuovo che avanza: Gravina si ricandida e fa la voce grossa, volevano fermarmi

di Demetrio Rodinò
 
Per parlare di Gabriele Gravina, presidente uscente della Federazione Italiana Giuoco Calcio e che si candidato a succedere a sé stesso, prendiamo, umilmente, in prestito una figura della drammaturgia contemporanea, Sir Ronald, protagonista di ''Servo di scena'', pièce scritta nel 1979 da Ronald Harwood e che, dopo un successo clamoroso me teatri di mezzo mondo, che ebbe una eccellente versione cinematografica, affidando il ruolo principale ad un grandioso Albert Finney.

Cosa accosta Gravina a uno dei testi drammaturgicamente più belli del secolo scorso?

A noi piace guardare al presidente della Figc come al protagonista di ''Servo di scena'', Sir Ronald, appunto, un vecchio attore che si ribella alla imminente fine di una carriera condotta guidato una piccola compagnia teatrale, di cui si sente, giustamente, demiurgo e padre e che per questo non accetta di scendere dal palcoscenico. Uno dei passaggi in cui Harwood scolpisce, con ascia sul legno, le spigolosità di Sir Ronald, è scandito da poche parole, ma che sono la summa dell'umana arroganza: ''Non posso, non devo e non voglio''. 

Come a volersi ribellarsi all'ineluttabilità delle cose, all'oblio che lo aspetta una volta, appunto, uscito di scena e con il timore che, dimenticandolo, il suo pubblico, dopo averlo amato, di lui non ricordi nulla, se non le cose negative.

Se fosse ancora tra di noi, Harwood non ci perdonerebbe certo il paragone, ma Gravina, in qualche modo, ci ricorda Sir Ronald per la determinazione, che diventa cocciutaggine mista ad arroganza, che lo ha convinto a candidarsi, ancora una volta, a guidare la Federazione e, quindi, il movimento calcistico italiano. Il quale, peraltro, attraversa un periodo molto particolare, tra l'obsolescenza degli impianti, la situazione debitoria di molte società, il fatto che, ad eccezione di qualcuno, i club storici ormai sono in mani straniere. 

Eppure, a sentirlo parlare, sembra che il calcio italiano sia ad un passo dalla perfezione, quasi lui non vedesse quanto frammentato sia lo scenario e come il baratro sia ad un passo. Perché, ma è solo un esempio, ad altre latitudini il presidente di una Federazione che ha in bacheca quattro, tra Rimet e Coppe del Mondo, e che per due volte consecutive non si riesce a qualificare per la fase finale dei mondiali, avrebbe preso, come si diceva un tempo, cappello e bastone, per cedere il passo ad altri, togliendo l'incomodo.

Ma lui, Gabriele Gravina, 71 anni, da Castellaneta, ad andarsene non ci pensa nemmeno o, se lo ha fatto, si è rimangiato ogni pensiero negativo, decidendo di proporre nuovamente sé stesso a presidente della Figc. Padronissimo di farlo (anche perché, secondo chi ne capisce in materia di congiure di palazzo, ha già in tasca i voti necessari per una larghissima rielezione) , ma se solo avesse moderato i toni del relativo annuncio, sarebbe stato un bene, almeno per il calcio italiano. 

Perché, in un'intervista al Corriere della Sera, Gravina ha dapprima dato di sé una immagine da principe di Danimarca, divorato da amletici dubbi sul candidarsi, per poi parlare a ruota libera, dando l'impressione di volerla fare pagare cara a chi ha cercato di sbarrargli la strada. 

Esageriamo?

Non tanto, perché sentirgli dire che ''certe forme di aggressione che ho ricevuto nelle ultime settimane, e che non hanno precedenti in un paese civile come l'Italia, non mi hanno impedito di andare avanti. Si è fatto di tutto per indurmi a non candidarmi. Ma non mi conoscono. Ho la capacità e la serenità di andare a testa alta e la coscienza a posto".

BOOOOM!!!

Parole che fanno sembrare quelle del Cieco Poeta sull'ira di Achille quasi una barzelletta. Che poi, a ragionarci, in un sistema democratico, quale dovrebbe essere quello che si basa sulla libera espressione di un voto (come appunto quello per eleggere un presidente), dirsi contrario ad un candidato deve necessariamente scatenarne la rabbia, sino a preconizzare chissà quali guai per i reprobi? 
Noi crediamo di no. Ma noi non siamo Gravina, che la pensa come più ritiene giusto.

Nell'intervista al Corriere della Sera, Gravina fa anche un rapido passaggio sulle sue vicende giudiziarie, ancora non definite con una ordinanza o una sentenza.
 
Per lui, comunque, definitosi ''rispettoso delle leggi e pronto a sottomettermi al giudizio della giustizia italiana'' (bontà sua, come se godesse di un regime di impunità cui può rinunciare quando gli passa per la testa) e forte dei pareri della Procura di Perugia, del Gip e del Riesame di Roma, secondo i quali è stato vittima di attività di dossieraggio illecita portata avanti da personaggi che hanno malanimo verso di me'', parla di un ''processo mediatico che mi lascia molto perplesso".

E' la stampa, caro Gravina. Quella che l'ha incensata quando ne ha dato motivo, ora dice altro, perché la ruota della vita può anche cambiare senso. Comunque, anche Gravina ha un cuore e lo mostra quando dice di essere stato ''tentato più volte di chiudere il mio impegno in FIGC e l'avevo confidato ai responsabili delle componenti che mi hanno sempre sostenuto.  Tuttavia, avevo un impegno morale con loro. Bisogna completare un percorso condiviso. È stata una scelta sofferta, non facile, ma responsabile". 

Quale sia il percorso se lo chiedono in tanti, visto che, almeno negli ultimi anni, la fronda che gli è stata fatta coglie ogni occasione per attaccarlo. Ma lui, solido come la rocca di Gibilterra (per chi ama le immagini auliche) o come una patella di mare allo scoglio, resta lì, a resistere. E se la nazionale affonda, statene certi, lui ce la farà a stare a galla, aggrappandosi a qualcosa, ma ce la farà. 
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