Se pensavate che il massimo della tensione geopolitica tra Italia ed Estonia fosse la lotta per chi riesce a pronunciare correttamente “Tartu”, preparatevi a un nuovo capitolo della storia internazionale: l’affaire Espresso Macchiato. No, non si tratta di una guerra commerciale per il primato sulla bevanda perfetta, ma del titolo della canzone che rappresenterà l’Estonia all’Eurovision Song Contest 2025. E a quanto pare, ha sollevato un pandemonio degno di un summit delle Nazioni Unite.
Il brano in questione, interpretato dal rapper estone Tommy Cash, noto per la sua sobrietà artistica quanto un Ferragosto a Rimini, ha fatto stizzire il pubblico italiano per i riferimenti a stereotipi culturali, tra cui mafia, ostentazione e, ovviamente, il nostro amato caffè. La reazione non si è fatta attendere: indignazione social, dibattiti televisivi, appelli accorati su giornali e, immancabile, l’intervento del Codacons, che ha deciso di brandire la spada della giustizia contro la presunta offesa alla dignità nazionale. Quindi, ricapitolando: al diavolo le bollette alle stelle, il caro vita, le tasse, il bailamme della politica, la guerra… No, no: la vera emergenza nazionale, secondo il Codacons, è che l’Eurovision potrebbe veicolare un’immagine distorta del Belpaese. Il loro ricorso è perentorio: Espresso Macchiato violerebbe i principi di inclusività e rispetto che dovrebbero regnare sovrani sul palco della celebre kermesse musicale. Nella lettera inviata all’EBU (European Broadcasting Union), l’associazione richiama il codice etico del festival, che proibisce riferimenti divisivi o discriminatori, e invoca persino l’Articolo 21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. Il rischio? L’intero popolo italiano potrebbe venire ingiustamente associato a cliché poco edificanti.
Ma facciamo un passo indietro: davvero questa canzone rappresenta una minaccia per la nostra reputazione? Perché se è così, allora forse il problema non è Tommy Cash, ma l’immagine che abbiamo costruito nel tempo. Perché, diciamocelo, il nostro rapporto con il caffè è ossessivo, l’arte dell’apparenza è un pilastro nazionale e, beh… la mafia non l’ha certo inventata un rapper estone. Nel frattempo, Espresso Macchiato ha già fatto il giro del web, scatenando reazioni contrastanti: da chi si strappa le vesti per la lesa maestà a chi, invece, si lascia trasportare dal ritmo e dall’estetica volutamente grottesca del videoclip. La canzone, infatti, segue l’ormai collaudato schema del trolling musicale, in cui l’esagerazione e il gioco sui luoghi comuni diventano il motore stesso del successo. E, a giudicare dai numeri sui social, pare che Tommy Cash abbia centrato in pieno l’obiettivo.
Forse, prima di ergersi a paladini della moralità musicale, varrebbe la pena chiedersi: indignarsi serve davvero? Il codice etico dell’Eurovision è sicuramente un documento nobile, ma nella pratica è stato applicato in modo piuttosto elastico nel corso degli anni. Se la sensibilità culturale è importante, il buon senso lo è ancora di più: una canzone può essere di cattivo gusto, ma da qui a scatenare un caso internazionale ce ne passa. Alla fine, rimane una domanda aperta: vietare una canzone perché contiene stereotipi non rischia di aprire un vaso di Pandora ben più problematico? Se la satira e la provocazione vengono messe al bando, cosa rimane della libertà artistica? La risposta, probabilmente, sta nel trovare un equilibrio tra critica e autoironia. Perché se davvero Espresso Macchiato può offendere un’intera nazione, forse ci conviene fare una riflessione più profonda su noi stessi prima ancora che su Tommy Cash. E magari, giacché ci siamo, il Codacons potrebbe destinare le sue energie a battaglie più urgenti. Tipo il prezzo dell’espresso al bar. Quello sì che è un vero scandalo.