Economia
La chimica italiana tra leadership sostenibile e crisi di competitività, un pilastro strategico sotto pressione
di Redazione

L’industria chimica italiana si conferma un motore ineludibile dell'economia nazionale, un pilastro strategico che alimenta l’innovazione e la competitività dell’intero sistema produttivo. Con un fatturato di 65 miliardi di euro, un export che sfiora i 40,6 miliardi e oltre 113.000 addetti altamente qualificati, il settore si posiziona come la quinta industria nazionale e il terzo produttore europeo. Il suo ruolo è pervasivo e moltiplicatore: ogni 100 euro di valore aggiunto generato dalla chimica ne attivano ben 232 nelle filiere collegate.
Eppure, come evidenziato dal Report Federchimica presentato in occasione dell'Assemblea 2025, questa solidità strutturale è oggi oscurata da un forte contrasto: una riconosciuta eccellenza in Europa sul fronte della sostenibilità coesiste con una crisi di competitività crescente e preoccupante.
Il Presidente di Federchimica, Francesco Buzzella (nella foto), ha sottolineato come la chimica italiana non generi solo valore economico, ma una "pluralità di valori fondamentali" che agiscono su tre dimensioni interconnesse: economica, ambientale e sociale.
Sul piano ambientale, l'Italia è un punto di riferimento europeo: negli ultimi trent’anni il settore ha ridotto del 70% le emissioni dirette di gas serra, dimezzato i consumi energetici e raggiunto una quota di riciclo vicina al 50% dei propri rifiuti. Un'efficienza che la colloca all'avanguardia nell'economia circolare.
Dal punto di vista sociale, il comparto si distingue per qualità del lavoro e occupazione stabile: il 96% dei contratti è a tempo indeterminato, la percentuale di laureati è doppia rispetto alla media manifatturiera (27% contro 13,5%) e le retribuzioni superano del 35% la media nazionale.
Nonostante queste eccellenze, la congiuntura è difficile. Il 2025 segna il quarto anno consecutivo di calo produttivo per la chimica italiana, con una flessione prevista dell’1,5% e livelli produttivi ancora inferiori dell’11% rispetto al 2021. Una debolezza che rispecchia il malessere dell’intera chimica europea (la Germania, ad esempio, è in calo del 19% rispetto al 2021).
La performance negativa è aggravata da una doppia morsa internazionale, il protezionismo USA: le nuove ondate protezionistiche americane stanno erodendo l’avanzo commerciale con gli Stati Uniti (1,2 miliardi di euro nel 2024). La sovracapacità cinese: la Cina, beneficiando di asimmetrie competitive, ha visto la propria quota sull’import chimico italiano salire vertiginosamente, passando dal 6% al 17% in soli quattro anni (2021-2025).
A livello interno, a frenare il settore sono due fattori critici: il nodo energia e l'iper-regolamentazione.
L’incidenza dei costi energetici sul valore della produzione è balzata dal 14% nel 2021 al 18% nel 2024. Nei primi nove mesi del 2025, il prezzo medio dell’elettricità in Italia è stato di 120 €/MWh, un valore doppio rispetto a Francia e Spagna.
Si aggiunge il peso della burocrazia: tra il 2019 e il 2024, l’Europa ha prodotto oltre 13.000 nuove norme (contro le 3.500 degli Stati Uniti), facendo lievitare i costi normativi dal 4% al 13% del valore aggiunto in meno di dieci anni. In questo quadro, meccanismi come l’EU ETS gravano sul comparto per oltre 600 milioni di euro l’anno, una cifra che potrebbe toccare gli 1,5 miliardi entro il 2030, drenando risorse cruciali per l’innovazione.
Di fronte a queste sfide, Federchimica lancia un appello per un cambio di rotta basato su pragmatismo e neutralità tecnologica. La massima urgenza è data dal costo dell’energia. Il Presidente Buzzella ha ribadito che l’approccio deve essere guidato da un unico imperativo: "pragmatismo". È essenziale eliminare il differenziale di prezzo tra l'indice del gas italiano (PSV) e quello europeo - una differenza che costa al settore 1,3 miliardi di euro all’anno - e rendere pienamente operativi i meccanismi di energy release e gas release.
Infine, sono cruciali la semplificazione normativa, per accelerare gli investimenti e le autorizzazioni, e una transizione ambientale sostenibile che supporti la decarbonizzazione con regole stabili, senza imporre target irrealistici che rischiano di costringere le aziende a delocalizzare o chiudere gli impianti.
“Imprese, istituzioni e persone devono diventare soggetti di movimento”, ha concluso Buzzella, con l'invito a "guardare oltre le incertezze, per costruire un futuro in cui la chimica continui a generare valore per il Paese”. La chimica italiana, pur in un momento di "toni preoccupati, ma non apocalittici", è pronta a presidiare la realtà e a inventarsi il domani, a patto che le condizioni di contesto le permettano di competere alla pari.