Quando muore un magistrato (che resta sempre tale, anche quando finisce la sua missione per l'età), l'ultimo viaggio vede la toga poggiata sulla bara, a significare il legame indelebile tra l'uomo o la donna delle Istituzioni e il simbolo della sua missione, quel drappo nero che incute, insieme, timore e rispetto. Per Giuseppe Chiaravalloti - che per tutti era Peppino - idealmente sono anche altri i simboli della sua lunga esistenza - si è spento all'età di 90 anni -: l'impeccabile doppio petto che indossava sempre, nelle occasioni ufficiali e quando era nel suo ufficio; il sorriso perenne, anche quando doveva affrontare situazioni delicati; la joie de vivre, da amante dell'eleganza, della bellezza, dell'arte di raccontare.
Ho avuto il piacere di conoscere ormai tanti anni fa Peppino Chiaravalloti, con il quale ho trascorso molte estati nel suo buen retiro, una casa in Calabria, a Praialonga, restando affascinato dalla sua capacità di affabulare, anche quando raccontava momenti drammatici, della sua professione, soprattutto, mostrando la sua umanità e la enorme capacità di sdrammatizzare tutto il brutto della vita. Parlare con lui, nelle sere d'estate, era una immersione totale nella cultura, da quella più ''profonda'' dei classici - quante citazioni a memoria riusciva a mettere in un discorso - a quelle più leggere, confermando una delle sue doti, la curiosità di stare al passo dei tempi. Anche se i suoi, di tempi, erano quelli del galantomismo, dei baciamano, della correttezza formale.
''Don Peppino'' come lo chiamavano coloro che erano amici, ma non al punto da chiamarlo solo per nome, è stato a suo modo un'istituzione perché da procuratore generale della corte d'appello di Catanzaro era il magistrato inquirente che doveva apporre il sigillo finale all'azione penale. E lui lo faceva, nel rigore e nella serietà, ponendo sopra di sé la Legge e non altro. Lungo gli austeri corridoi del Palazzo di Giustizia del capoluogo calabrese, Chiaravalloti era un punto di riferimento, oltre che per gli altri magistrati, anche per l'altro lato della barricata, gli avvocati, che spesso lo andavano a cercare, più per sentire una voce amica, che per chiedergli un consiglio. E lo stesso, immaginiamo, accadeva anche a Reggio Calabria, dove resse lo stesso incarico negli anni immediatamente precedenti alla seconda pagina della sua vita, quando, nel 2000, fu eletto presidente della Giunta regionale.
Una esperienza diversa, ma nella quale Giuseppe Chiaravalloti si spese come sempre, talvolta facendo la voce grossa, più di sovente con il sorriso, quando non addirittura la risata. E quel sorriso lo usò anche quando, per vicende dalle quali, dal punto di vista giudiziario, è uscito sempre a testa alta, accoglieva decisioni a lui favorevoli, espresse da chi, fino a pochi anni prima, era un suo collega.