Le cronache internazionali restituiscono l’immagine di un’amministrazione americana sempre più segnata da decisioni improvvise e tensioni interne. Il punto di maggiore frizione all’interno dell’amministrazione americana si è consumato sul fronte ucraino. Secondo la CNN, il Segretario alla Difesa Pete Hegseth avrebbe disposto la sospensione delle forniture militari a Kiev senza consultare né informare preventivamente la Casa Bianca.
Caos alla Casa Bianca, tensioni internazionali e disastri naturali
Una scelta che ha colto di sorpresa alti funzionari, come l’inviato speciale per l’Ucraina, il generale in pensione Keith Kellogg, e il Segretario di Stato Marco Rubio, informati – pare – dai media. L’episodio ha innescato un’immediata corsa contro il tempo per gestire l’impatto politico e diplomatico della decisione. Il Presidente Trump ha pubblicamente minimizzato il proprio coinvolgimento, affermando che gli Stati Uniti continueranno a sostenere l’Ucraina con armi difensive, ma l’impressione generale – sottolineano CNN e Axios – è quella di un processo decisionale disordinato e privo di coordinamento.
Il Pentagono ha poi confermato, a posteriori, la sospensione delle spedizioni, precisando che si trattava di una revisione interna delle scorte militari statunitensi, in parte motivata dalle tensioni in Medio Oriente. Tuttavia, il fatto che anche il Congresso non fosse stato avvertito ha sollevato ulteriori perplessità. Secondo due fonti citate dalla CNN, la mancata comunicazione sarebbe dipesa anche dall’assenza, nello staff di Hegseth, di consiglieri in grado di favorire un maggiore coordinamento con la Casa Bianca e le altre agenzie. Pochi giorni dopo, però, è stato lo stesso Trump a intervenire per ordinare la ripresa parziale delle forniture. In particolare, ha autorizzato l’invio di intercettori per i sistemi di difesa aerea Patriot, già stoccati in Polonia e cruciali per proteggere le città ucraine dagli attacchi russi. Secondo Axios, si tratta di 10 missili, un numero molto inferiore rispetto ai 30 inizialmente previsti.
Il Guardian riporta la frustrazione dei funzionari ucraini: pur esprimendo gratitudine per il sostegno americano, definiscono “minuscola” la quantità di armi effettivamente inviate e chiedono con urgenza maggiore prevedibilità. A Kiev, il dietrofront viene letto come un segnale ambiguo: da un lato c’è la volontà di non abbandonare l’Ucraina, dall’altro una riluttanza crescente verso l’invio continuativo di aiuti. La posizione di Trump nei confronti della Russia sembra nel frattempo irrigidirsi. Secondo quanto riportato dalla CNN e confermato da un funzionario europeo al vertice NATO, il Presidente avrebbe espresso insofferenza per l’atteggiamento di Vladimir Putin, ritenuto “inconcludente” e poco incline al negoziato.
“Putin ci tira addosso un sacco di stronzate – avrebbe detto Trump – è sempre molto carino, ma poi si rivela inutile”. La decisione iniziale di sospendere le forniture era stata influenzata anche dalla valutazione negativa del Sottosegretario alla Difesa Elbridge Colby e dal Vice Segretario Stephen Feinberg, entrambi preoccupati per il livello delle scorte militari americane. Tuttavia, la giustificazione ufficiale addotta al Congresso – una presunta carenza – non sarebbe stata supportata da prove concrete, secondo le fonti citate da CNN e Guardian.
Mentre l’attenzione americana resta in parte focalizzata sull’Europa dell’Est, si aprono spiragli in Medio Oriente per rilanciare il processo di normalizzazione dei rapporti tra Israele e il mondo arabo. Dopo il secondo incontro tra Netanyahu e Trump alla Casa Bianca, il premier israeliano ha parlato – come riportato da Haaretz – di “nuove opportunità” per espandere gli Accordi di Abramo, nati nel 2020 sotto l’amministrazione Trump.
Particolarmente delicata la situazione a Gaza: secondo Sky News, Trump avrebbe rassicurato indirettamente Hamas – tramite il mediatore Bishara Bahbah – sulla volontà di non riprendere i combattimenti al termine del cessate il fuoco di 60 giorni. Sul campo, però, le operazioni israeliane proseguono: IDF e Shin Bet hanno arrestato 11 sospetti terroristi in Cisgiordania, mentre l’aviazione ha ucciso in Libano Maharan Mustafa B’ajur, un comandante chiave di Hamas. Nel frattempo, l’Europa cerca di farsi sentire: Bloomberg riferisce che Emmanuel Macron ha esortato il neoeletto premier britannico Keir Starmer a riconoscere ufficialmente lo Stato di Palestina.
Oltre alla geopolitica, il quadro internazionale si arricchisce anche di drammatici eventi legati al cambiamento climatico. In Texas, violente inondazioni improvvise hanno provocato almeno 110 vittime e oltre 160 dispersi. Le squadre di soccorso, riferisce CBS, continuano a operare in condizioni estreme, mentre il governatore Greg Abbott ha chiesto e ottenuto da Trump la dichiarazione di calamità federale, che consente l’intervento della FEMA per il coordinamento degli aiuti. Anche l’Europa affronta una delle estati più difficili.
In Francia, un vasto incendio partito da Pennes-Mirabeau ha raggiunto le porte di Marsiglia. Secondo Le Monde, le autorità parlano di un’emergenza non ancora sotto controllo: 800 vigili del fuoco e numerosi velivoli antincendio sono stati mobilitati, mentre 400 persone sono state evacuate e numerose abitazioni risultano danneggiate. Il ministro dell’Interno Bruno Retailleau ha dichiarato che ci si sta preparando a una stagione “ad alto rischio”.
Sul versante economico, Bloomberg segnala che Trump minaccia dazi fino al 50 % su rame e fino al 200 % su farmaci, scatenando un balzo del 17 % del prezzo del rame e pesando sulle materie prime. Intanto, un sondaggio Crif, citato da Der Spiegel, mostra che in Germania la fiducia sulle prospettive finanziarie è la più bassa tra cinque Paesi (Francia, Italia, Polonia, Regno Unito e Germania): solo un tedesco su quattro è certo di poter pagare le bollette nei prossimi 12 mesi, e quasi un terzo teme un peggioramento economico.
Infine, un’inchiesta della BBC ha riportato in primo piano la dura repressione delle proteste studentesche in Bangladesh. Un audio verificato da BBC Eye documenta la voce dell’ex primo ministro Sheikh Hasina, che avrebbe autorizzato l’uso di armi letali da parte delle forze di sicurezza contro i manifestanti lo scorso anno. La rivelazione getta nuove ombre sul governo di Dacca e solleva preoccupazioni internazionali sul rispetto dei diritti umani nel Paese asiatico.