Il mondo guarda con attenzione e timore alle prossime mosse di Teheran dopo che i tre principali siti nucleari del Paese sono stati attaccati dai bombardieri americani e dai missili Tomahawk, lanciati da sottomarini dispiegati nel Golfo Persico.
Usa vs Iran: in attesa della risposta dell'Iran
Le reazioni verbali ci sono state, e, come scontato, anche violente, per come la circostanza imponeva, ma capire oggi come il regime iraniano intenda rispondere, sul campo, alla distruzioni dei siti resta complicato.
E non necessariamente, per come peraltro è anche giusto ipotizzare, per frizioni o dissensi in seno alla leadership della repubblica islamica, dove la componente militare, quella dei Guardiani della Rivoluzione, ha ormai acquisito un ruolo che, se non è già preponderante, potrebbe esserlo già nell'imminente futuro.
Anche perché i Guardiani della Rivoluzione, nati come un corpo paramilitare a sostegno della teocrazia, hanno nei decenni assunto un profilo anche economico, e non soltanto negli aspetti legati all'industria della difesa.
D'altra parte non può essere l'attacco ai siti, da solo (e al netto di quelli che sono stati i risultati reali della operazione), a potere imprimere al regime una accelerazione verso il cambiamento che, sebbene auspicato da un popolo stremato dalla crisi economica, vede la netta opposizione di religiosi e militari, abbarbicati alle posizioni di potere che hanno conquistato e fortificato, anche reprimendo con la violenza e nel sangue ogni voce dissenziente.
Nel cercare di ipotizzare una qualsiasi risposta sul terreno da parte iraniana, si deve necessariamente tenere conto di quale sia stata la portata dei danni inflitti dai bombardamenti di Israele che, sino ad oggi, ha colpito impianti e strutture militari fondamentali, ma che, se dovessero continuare gli attacchi iraniani contro obiettivi civili, potrebbe decidere un cambio di strategia e, quindi, di target. Come infrastrutture ritenute fondamentali per il sistema di difesa di Teheran. Ecco allora che, nell'analisti della probabile risposta iraniana, occorre ampliare la potenziale platea dei bersagli e delle mosse.
Come potrebbe essere la chiusura al transito nello Stretto di Hormuz (che comunque determinerebbe un enorme danno economico anche per le esangui casse statali di Teheran), che da un punto di vista meramente militare non necessiterebbe di uno sforzo insostenibile da parte dell'Iran. Ma, allo stop al transito di navi ''non amiche'' dallo Stretto, potrebbero accompagnarsi azioni contro gli interessi americani nella regione, siano essi militari (come le basi) o economici (gli impianti di estrazione del petrolio in mano alle grandi compagnie statunitensi).
Obiettivi potenziali che, al di là delle misure di sicurezza di cui sono dotati, non sarebbero al sicuro da ''azioni non convenzionali'', come quelle che si potrebbero definire di profilo terroristico, in termini di modalità di esecuzione.
C'è però un grosso interrogativo che deve essere posto, guardando ad una reazione da parte iraniana che vada oltre le sia pure mai tracciate linee dei comportamenti in un conflitto.
Se ad esempio la risposta di Teheran dovesse causare danni, oltre che a strutture americane, anche a suoi cittadini, sarebbe un jolly in mano a Washington e Gerusalemme per andare, ma veramente, all'attacco dell'Iran per imporre, manu militari, il cambiamento di regime oggi auspicato come conseguenza di una ribellione endogena.