Economia
Quando la trasparenza fa crescere le imprese
Redazione

Uno studio della Banca d’Italia, firmato da Antonio Accetturo, Audinga Baltrunaite, Gianmarco Cariola, Annalisa Frigo e Marco Gallo, ha esaminato un aspetto spesso sottovalutato della vita economica: il peso della trasparenza. Il paper, intitolato “The Value of Words: Evidence from Non-Financial Disclosure Regulation” (Temi di discussione n. 1498, ottobre 2025), analizza gli effetti della riduzione degli obblighi di informativa non finanziaria per le microimprese italiane introdotta dal decreto legislativo 139 del 2015, che ha recepito la direttiva contabile europea 2013/34/UE.
Quando la trasparenza fa crescere le imprese
La riforma, in vigore dal 2016, ha consentito alle aziende di dimensioni molto ridotte di presentare un “bilancio microimpresa” (MFBS), esentandole dalla redazione delle note integrative, documenti che accompagnano il bilancio contabile fornendo spiegazioni qualitative su investimenti, costi e valutazioni gestionali. L’obiettivo era alleggerire gli oneri amministrativi delle realtà minori, ma l’analisi empirica condotta dalla Banca d’Italia racconta una storia diversa.
Utilizzando un approccio di regression discontinuity design, i ricercatori hanno confrontato le imprese appena sotto e appena sopra le soglie dimensionali di accesso al regime semplificato. I risultati non mostrano alcuna evidenza di risparmi sui costi operativi, la riduzione della burocrazia non si traduce in benefici economici misurabili. Al contrario, emergono effetti negativi sul fronte finanziario. L’eliminazione delle note integrative ha infatti ridotto la trasparenza verso banche e investitori, limitando la possibilità di ottenere credito o di attrarre nuovi soci.
In particolare, le imprese che hanno adottato il bilancio semplificato hanno registrato un calo della probabilità di accesso ai finanziamenti bancari e una minore frequenza di passaggi di proprietà. La mancanza di informazioni qualitative, spiegano gli autori, ha accresciuto l’opacità dei bilanci, rendendo più difficile la valutazione dell’affidabilità delle imprese, soprattutto per quelle che cercavano di instaurare nuovi rapporti di credito.
Il fenomeno è apparso più accentuato nei territori dove operano principalmente banche locali, meno dipendenti da informazioni standardizzate, e tra le imprese già consolidate, che si sono rivelate più inclini ad adottare il regime semplificato confidando nella propria reputazione. Proprio queste aziende hanno finito per pagare un prezzo in termini di minore accesso a risorse esterne e rallentamento della crescita.
Dallo studio dunque, è emerso che la trasparenza non è un mero adempimento burocratico, ma un asset economico. La qualità delle informazioni non finanziarie, dalle strategie di investimento alle scelte gestionali, contribuisce a ridurre le asimmetrie informative, favorendo la fiducia degli stakeholder e l’efficienza dei mercati.
In un’economia come quella italiana, composta in larga parte da micro e piccole imprese, il lavoro della Banca d’Italia suggerisce che “meno carta” non sempre significa “più efficienza”. Al contrario, le parole, quelle che spiegano e raccontano l’impresa oltre i numeri, hanno un valore concreto, aprono porte al credito, stimolano la concorrenza e sostengono la crescita italiana