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Smart-shit: l’intestino entra in cloud

Barbara Leone
 
Smart-shit: l’intestino entra in cloud

C’è stato un tempo in cui gli imperatori romani consultavano le viscere animali per scrutare il destino. Oggi, a migliaia di anni di distanza, il Giappone ci propone una versione domestica — e assai più igienica — dell’aruspicina: un WC che legge nei nostri escrementi.

Smart-shit: l’intestino entra in cloud

Protagonista TOTO Ltd., gloriosa produttrice nipponica di servizi igienici d’élite, che il primo agosto lancerà un modello di WC dotato di sensori in grado di analizzare forma, consistenza, volume e colore della materia organica depositata. Il congegno, installato nei modelli di alta gamma della serie Neorest (e già il nome suona come un’epopea di design funzionale), promette di rivoluzionare l’intimità quotidiana e, in fondo, anche la nostra idea di privacy.

Per una modica cifra che parte da 493.900 yen, tasse incluse (circa 2.850 euro al cambio attuale), ci si potrà sedere su un trono che, letteralmente, osserva, misura e memorizza. L’architettura della meraviglia non è da poco.

Un LED integrato illumina l’uscita di scena del nostro contributo organico: un’ultima passerella prima dell’addio e voilà… ecco che un sensore rileverà la luce riflessa, determinando lunghezza, forma superficiale e contorno del nostro capolavoro enterico.

Il colore è codificato in tre livelli: ocra, marrone e marrone scuro. La consistenza varia su una scala di sette, dal liquido all’idilliaco solido, mentre il volume si regola su tre taglie, dalla XS alla L.

L’analisi viene inviata a un’app sullo smartphone. Fino a sei membri della famiglia potranno tenere traccia delle proprie performance in tempo reale, monitorando l’evoluzione intestinale con la stessa serietà con cui si controlla il battito cardiaco durante una corsa mattutina. Il passo successivo sarà il confronto tra conviventi: “Io oggi sono livello 4 di compattezza, tu?”
A voler essere onesti, il tema non è del tutto nuovo.

La materia, per quanto imbarazzante, attraversa secoli di riflessioni e trattati più o meno filosofici. Galeno scriveva che “le feci sono oracolo del ventre”, mentre nella medicina cinese tradizionale l’analisi della consistenza dello scarto è sempre stata chiave diagnostica.
Ma la vera svolta semantica, e semiseria, arriva con Rabelais, che nel Gargantua e Pantagruel descrive minuziosamente, e con una gioia quasi infantile, l’arte dello svuotamento. Nel Novecento, il filosofo tedesco Peter Sloterdijk azzardò che “l’essere umano è l’unico animale che fa l’esperienza dell’evacuazione come evento simbolico”.

E come dargli torto: nell’epoca dei dati, anche ciò che lasciamo dietro di noi diventa informazione. O meglio: bio-feedback. E come dimenticare l’epico Inno del corpo sciolto di Roberto Benigni? Un’ode irriverente e travolgente al più democratico dei bisogni umani, in cui il folletto toscano, con la sua verve scatologica elevata a poesia, celebra l’intera liturgia del sollievo fisiologico: dal trono di porcellana al tugurio partigiano, passando per l’apoteosi ecologista della foglia di vite, antenata green della carta igienica. Un’esilarante litania che fa del cesso un tempio e del bisogno un atto rivoluzionario.

In tutto questo, viene spontaneo chiedersi: ma questa geniale trovata nipponica ha davvero a che fare col progresso? O è solo l’ennesima nevrosi hi-tech mascherata da design minimal e zen?
Perché diciamocelo: l’atto di defecare — parola antica, latina, nobile, persino solenne — era forse l’ultima roccaforte della libertà individuale. Un momento intimo, inviolabile, sacro quasi quanto una meditazione. Ora, invece, rischiamo di ricevere notifiche push che ci avvisano che la “produzione odierna” è sotto la media proteica. Magari con emoji tristi e suggerimenti dietetici inclusi. Col rischio che, se davvero arriverà l’algoritmo predittivo, il wc potrebbe dirci con garbata freddezza: “Oggi evita i carboidrati, non sei al top”.

Oppure: “Hai saltato la fibra ieri, non pensare di cavartela così”. In pratica, anche dopo aver fatto la cacca ci ritroveremmo con l’ennesimo report da consultare e un KPI da raggiungere. Del resto, tracciamo i passi, i battiti, il sonno, le calorie, i sogni… c’è poco da meravigliarsi se anche la merda diventa smart!

È il perfezionismo che si fa peristalsi, l’ansia da prestazione intestinale in formato app. Il tutto, naturalmente, senza ombra di sarcasmo, perché l’algoritmo non contempla l’ironia. Ma forse è proprio quella che ci manca davvero. L’ironia di ammettere che, a volte, non si è in target. E va benissimo così. Anche, e soprattutto, quando ci si siede sul trono.

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